sabato 13 gennaio 2018

John Reed

Le testimonianze raccolte in Ottobre 1917 non soltanto outtakes di I dieci giorni che sconvolsero il mondo. John Reed E’ un stato un reporter partecipe, persino temerario se si pensa al tempo e alla situazione in sé. E’ chiaro che è stato parte in causa e le sue Cronache dal Palazzo d’Inverno trasudano partecipazione ed emozione, sono schierate (per fortuna) non tanto perché sia convinto di essere dalla parte giusta, quanto perché nega alla fonte il principio ipocrita dell’informazione senza opinioni, delle notizie spurgate dai sussulti emotivi, dei fatti così come sono (come se fosse possibile). In verità, John Reed gode di una posizione privilegiata (anche se non priva di rischi, compresa l’impossibilità di curare la malattia che lo porterà alla morte), di sicuro così vicina allo svolgersi degli eventi e da comprenderli in tutta la loro complessità, e di saperli raccontare meglio di chiunque altro. I reportage sono appassionati, urgenti, immediati eppure a John Reed non manca l’occasione per dimostrare una conoscenza approfondita e acuta della rivoluzione, sia nelle motivazioni primordiali e generali (“Che cos’è che fa le rivoluzioni? La propaganda? Gli agitatori? No, le condizioni. Condizioni simili producono simili risultati”) sia dello specifico contesto internazionale in cui si è sviluppata. In questi resoconti inediti viene sottolineato a più riprese il rapporto tra la rivoluzione russa e la prima guerra mondiale che, nella visione di John Reed, “era un guerra di industrie, e le trincee erano fabbriche che producevano distruzione, distruzione dello spirito oltre che del corpo, che è la vera e unica morte. Ogni cosa si era fermata tranne le macchine dell’odio e dello sterminio”. Non c’è altro da aggiungere, se non una postilla valida nei secoli dei secoli: “A che serve la guerra? Certo non alla libertà, perché il governo diventa sempre più tirannico”. Il compito del reporter in quei “giorni febbrili, in cui tutti intuivano che stava succedendo qualcosa, ma nessuno sapeva che cosa” è rendere intelligibile  qualcosa di inedito perché, come sa bene John Reed, “per la prima volta nella storia, la classe operaia ha conquistato il potere statale per i propri interessi, e ha tutte le intenzioni di conservarlo”. Le Cronache dal Palazzo d’Inverno sono dettagliate nelle analisi politiche, ma, se trascinato dalla passione si concede qualche commento trionfante (“L’intera insurrezione è un emozionante spettacolo di organizzata azione di massa proletaria, di coraggio e generosità”), John Reed non nasconde mai che “la vera insurrezione si svolse abbastanza naturalmente alla luce”, con tutta l’ammirazione per “l’enorme semplicità con cui si è svolta”. Sulle motivazioni, al di là delle sacrosante richieste di “pace, terra, pane” e sugli sviluppi della rivoluzione russa occorre poi rivolgersi, inevitabilmente, a I dieci giorni che sconvolsero il modo, anche se John Reed in Ottobre 1917 ricorda almeno almeno una lezione importante quando dice: “La storia dimostra che i governi crudeli senza bisogno e spietati senza necessità prima o poi assaggeranno la rabbia del proprio popolo”. Su questo, è difficile da smentire.

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