martedì 24 ottobre 2017

Megan Mayhew Bergman

Forse è soltanto un’involontaria coincidenza, ma i Paradisi minori di Megan Mayhew Bergman cominciano dedicando tutta l’attenzione agli uccelli per finire con i pesci. Quasi un’evoluzione al contrario, con una specie, quella umana, che resta indefinita e prigioniera di se stessa, a metà strada tra la sofferenza in cattività e l’amaro sollievo dell’estinzione. La coabitazione sullo stesso pianeta di esseri che non sanno ed esseri senzienti e convinti della propria indifferenza, genera il substrato che pervade i racconti di Paradisi minori. E’ un tema che si snoda in sottofondo, per quanto gli animali siano in risalto in ogni storia, ma che tende a sottolineare l’innata conflittualità degli esseri umani, le loro complicate relazioni, i frutti dolci e acidi che maturano nei pensieri, perché “la verità è che siamo pazzi, malati d’amore, tutti quanti”, come si dice in L’arte della casalinga. E’ un racconto commovente dove tutto è doppio: due madri, due case, un pappagallo che ripete, ma soprattutto una donna che si riflette nello specchio della vita senza ritrovarsi. Un problema che gli altri animali evidentemente non hanno. E’ su questo fragile equilibrio che si muove la narrativa di Paradisi minori: la sensazione che fra noi e gli animali ci sia una connessione più intensa di quello che sembri, se non altro perché “siamo parassiti del mondo, tutti quanti”, come dice uno dei personaggi di Le balene di ieri. E’ uno dei racconti più interessanti per via dell’intransigenza ambientalista del protagonista, che è ossessionato dall’incubo della sovrappopolazione e della resistenza di Lauren, la sua compagna, che è rimasta incinta. La diatriba genera tensione a sufficienza per immaginarlo come un capitolo di un romanzo, forse l’inizio, e a suo modo risolve anche uno dei nodi cruciali dei Paradisi minori quando Lauren immagina come “tutti i dilemmi cerebrali del mondo non possano niente contro i fatti fondamentali della biologia”. Anche gli altri racconti sono immediati e fruibili: cesellati con il gusto dell’artigianato, semplici e raffinati nello stesso tempo, offrono molti interrogativi sui cui soffermarsi scrutando le parole che, alla fine, convergono sempre nel ripercorrere tutti gli spostamenti dei personaggi che, uno dopo l’altro, si allontanano da casa. L’ecologia dei sentimenti ha una sua specifica e principale funzione nell’inseguirsi e perdersi, trovarsi e lasciarsi, un’altra abitudine che gli animali, più fortunati di noi, non hanno. C’è, in tutto questo movimento, molta America nei Paradisi minori di Megan Mayhew Bergman con tutta la cultura e le atmosfere della wilderness e insieme con la radicata convinzione di poter accedere alla “terra trasformata”, come la chiamava William Cronon. Lo spazio che siamo chiamati ad abitare non è infinito e quando la protagonista di Un’altra storia a cui lei non crederà dice “mi viene in mente che ogni tanto finiamo per abitare in luoghi che non ci appartengono”, non fa altro che riflettere, oltre alle proprie condizioni personali, sull’invadenza e la pericolosa insipienza del genere umano. Megan Mayhew Bergman ha una sua delicatezza nel confrontarsi con gli animali, domestici o selvatici che siano, per come penetrano nella nostra esistenza e per come noi decidiamo e pesiamo sulla loro. L’emblema è il coyote che si aggira disorientato e affamato nell’habitat stravolto di Caccia notturna: ci ricorda che gli animali subiscono le tensioni e le paure che creiamo e sopportiamo noi, solo che non hanno la letteratura per esorcizzarle.

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