mercoledì 6 settembre 2017

George Saunders

Comincia con una danza di spettri, poi i primi capitoli introducono in una twilight zone in cui il potere della narrativa è nello stesso tempo esaltato e sbeffeggiato. In una sorta di limbo, sospeso tra l’aldilà e un ultimo appiglio alla vita terrena, una bizzarra compagine di personaggi assiste all’arrivo del figlio di Lincoln e al primo anno della guerra civile americana. L’aneddoto storico (straziante) è la scintilla che fa deflagrare un convivio surreale, ma non così assurdo: è come il frammento di una Divina Commedia anarchica e burlesque, dove rimangono tutti invischiati nella stessa terra di nessuno. La dimensione è vacua perché, come dice e ripete Hans Vollman, “esiste da sempre molta confusione in merito a questo problema”. A sua volta, il reverendo Everly Thomas chiama la loro condizione (non senza ragione) la “forma malata”. La conclusione spetta a Roger Bevins III che, lapidario, spiega: “Prima eri lì in quel vecchio posto e adesso stai qui in questo nuovo posto”. Sono loro tre i più fervidi commentatori e le pagine appaiono come il proscenio di un medicine show con la regia occulta di Shakespeare, in cui gli attori vanno e vengono guidati dalla profana e loquace trinità. Tra gli altri, bisogna ricordare almeno Lippert, Kane, Fuller, gli “scapoli” che nei momenti salienti fanno piovere cappelli come un quadro di Magritte. La condizione indefinita degli ospiti, l’aspetto laico (convinto) con cui Lincoln nel Bardo ritrae la delicata dimensione del passaggio, le “realtà transitorie”, un ossimoro perché non sono realtà, e sono piuttosto definitive, riportano tutto a evocare “quella gran cosa” come la chiamava Henry James (che qui ci asteniamo dal nominare un po’ per pudore, visto che non è citata apertamente fino a metà romanzo, e un po’ per scaramanzia). In questo senso Lincoln nel Bardo si può interpretare anche come un’Antologia di Spoon River distorta e allucinata: George Saunders gestisce una cacofonia di voci con ineguagliabile destrezza, senza perdere di vista nemmeno per una singola frase per l’intera dimensione del romanzo. Il tono di sfida ai limiti della scrittura è implicito ed esplicito. L’incertezza si fa disorientamento, il disorientamento è propedeutico ad alzare la soglia dell’attenzione e l’irriverenza è inclusa nel prezzo perché nelle profondità di Lincoln nel Bardo non viene risparmiato niente e nessuno e difficilmente si trova una frase consolatoria: scuote con una pioggia di domande e di affermazioni apodittiche, sempre con un robusto ghigno sulle labbra. La sfida alle biografie e alle agiografie è coerente ed evidente. La figura di Lincoln emerge tormentata e contraddittoria: un uomo travolto dal dolore che convince un'intera nazione a sopportare anni orribili di guerra, di massacri, di distruzione, di alterazione dei diritti, la sospensione di fatto dell'habeas corpus, e nonostante tutto non cede fino alla fine (la sua). “Ero amato o no?”, si chiede Lincoln, ma è soltanto uno degli interrogativi di un lavoro di scomposizione del romanzo e insieme degli avvenimenti storici che sorprende per dove può portare. La risposta rimane nell'ambiguità, visto che di sicuro non può offrirla quella che un altro astante, Albert Sloane, definisce “l’indisciplinata comunità umana che, infiammata dal suo ottuso spirito collettivo, spingeva la nazione armata verso un’imprecisa specie di catastrofe epica e bellicosa: un enorme organismo ingovernabile, dotato della rettitudine e la lungimiranza di un cagnetto non addestrato”. Qui la prospettiva visionaria di George Saunders svela il suo disegno e la sua trama, sottolineata prima disseminando innumerevoli segnali, perché la guerra civile con la sua sterminata produzione di anime in pena scardina l’equilibrio tra terra e inferno (di paradiso, neanche a parlarne), giorno e notte, felicità e destino. Il finale caleidoscopico e voluttuoso è un’esplosione di immagini, e insieme un’implosione che si porta via tutti i protagonisti, ormai “contagiati dal dubbio”, ma che si accorgono che può esistere, come dice Roger Bevins III, “un luogo in cui il tempo rallenta e poi si ferma, dove potremo vivere per sempre in un singolo istante”. Spiazzante, trascinante, superbo, Lincoln nel Bardo è un romanzo tutto da decifrare, ma tra sarcasmo e tragedia, in un crescendo apocalittico e psichedelico, matura un capolavoro unico che richiede pazienza, applicazione e scrupolo, tutto quello che serve quando la letteratura si fa esperienza.

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