giovedì 17 settembre 2015

James Hillman

Tra gli effetti collaterali più subdoli e ambigui dei conflitti c'è quella condizione, dolorosa e pericolosa, che soltanto negli ultimi anni è stata riconosciuta nella definizione del disturbo post traumatico da stress. La traduzione di James Hillman in Un terribile amore per la guerra supera la precisione della terminologia scientifica e riporta quella frattura nell'alveo originale, essendo determinata da “un'esperienza di un evento che va oltre la gamma della normale esperienza umana”. La distinzione è il tema centrale di Un terribile amore per la guerra, un titolo che non è provocatorio: c'è sempre una pulsione originale e primordiale che spinge il “senso di identità” a sovrapporsi all'identificazione con la certezza della morte, probabilità più che prevedibile in zona di combattimento. James Hillman parte quindi dalla considerazione che la guerra è “una condizione primaria” o meglio, come affermava Michel Foucault, che “la storia che ci regge e ci determina ha la forma della guerra più che del linguaggio: rapporti di potere, non rapporti di senso”. Un terribile amore per la guerra ruota proprio attorno a queste parole, come spiega a più riprese James Hillman: “Noi pensiamo secondo la categoria della guerra, ci sentiamo in dissidio con noi stessi e senza rendercene conto siamo convinti che la predazione, la difesa del territorio, la conquista e la battaglia interminabile di forze opposte siano le leggi fondamentali dell'esistenza”. E' dove nasce Un terribile amore per la guerra ed è dove matura la coscienza che “la complicità nei crimini di guerra non ha confini netti; siamo tutti appassionati voyeur”. Non è facile accettarlo, ma è davvero così, e lo ammette anche James Hillman: “Gli scrittori, specialmente gli scrittori di guerra, non creano, ma ricreano, e la lettura è insieme ricreazione e ri-creazione di ciò che è sfuggito alla presa del presente per nascondersi nei recessi dell'anima, di ciò che è rimosso, dimenticato”. Detto questo, James Hillman non manca di far notare una delle contraddizioni più feroci che implica la guerra: “è un fenomeno umano organizzato” e d'altra parte “trasforma gli esseri umani in parti, parti di ricambio”. Nonostante questa peculiarità, che migliaia e migliaia di anni possono confermare, così come la nostra quotidianità, “la guerra è permanente, non irrompente; necessaria, non contingente; è la tragedia che fa impallidire ogni altra e che rende possibile l'amore”. Un terribile amore per la guerra svela qui perché la guerra “offre percezioni già deformate, scene già di per sé immaginative. Perciò i testimoni dicono: era irreale, fantastico, inimmaginabile, perché l'esplosiva imprevedibilità della guerra è immaginazione dispiegata”, o, meglio ancora, “la guerra si nutre di immaginazione ed è alimentata dall'immaginazione”. Il vero danno che infligge vivere Un terribile amore per la guerra è, come scriveva Don DeLillo, che “la guerra ci dice che è sciocco credere”. E' inevitabile davanti alla realtà infinita della guerra, quella che James Hillman descrive senza voli pindarici: “Questo è ciò che fanno le guerre, ciò che sono le battaglie; sono le convenzioni del saccheggio su scala mostruosa sia individuale sia collettiva, sono implacabili comportamenti archetipici”. La conclusione è realistica, per quanto drastica perché, pur con tutti i tentativi di edulcorare, ridimensionare, truccare il volto della guerra, “tuttavia il suolo deve pur sempre essere calcato dallo scarpone del soldato. I morti vanno pur sempre seppelliti. Nonostante la distanza, il linguaggio astratto, le operazioni segrete, le bombe esplodono pur sempre, i conflitti a fuoco scoppiano a pochi metri, di casa in casa, di vicolo in vicolo, a ogni blocco stradale, ai checkpoint, sulle rive del fiume, tra gli alberi. La guerra scende sulla terra”. Se bisogna riflettere, tanto vale partire da lì, dove l'amore non c'è più, e resta solo il terribile.

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