giovedì 6 agosto 2015

Michael Azerrad

La storia orale di dieci anni di musica americana, alternativa e indipendente: Black Flag, Minutemen, Minor Threat, Hüsker Dü, Replacements, Sonic Youth, Butthole Surfers, Big Black, Dinosaur Jr, Fugazi, Mudhoney, Beat Happening sono i protagonisti dell'epopea raccontata da Michael Azerrad attraverso le voci dei protagonisti. Il sound, elettrico, duro, scomodo, era solo l'inizio dell'alfabeto perché lo spirito era quello che raccontava Mike Watt (Minutemen): “Era fondare un'etichetta, era andare in tour, era mantenere il controllo. Come quando scrivi una canzone: lo fai, e basta”. C'era anche un aspetto etico, per quanto vago e indefinito che Lee Ranaldo (Sonic Youth) provava a riassumere così: “Girava l'idea che in definitiva quello che conta è la qualità di ciò che fai e l'importanza che gli dai, a prescindere da quanto successo avrai e quanti dischi sarai in grado di vendere”. Ian McKaye (Fugazi) scendeva più nel dettaglio: “E' stato in quel periodo che ho cominciato a focalizzare l'idea che quello che facevamo fosse reale, un modello di lavoro per una comunità concreta e alternativa, che potesse continuare a esistere al di fuori del mainstream, legittimamente, e supportandosi da sé. Parlo di lavorare, pagare l'affitto, avere relazioni, avere delle famiglie, qualunque cosa. Ho visto che c'era una controcultura che poteva svilupparsi”. Non tutte le opinioni concordano e a Michael Azerrad va riconosciuta la pluralità di voci, compresi parecchi elementi stonati. Premio per la sincerità a Paul Westerberg (Replacements): “A volte non vorresti essere creativo. Vorresti solo essere normale, non preoccuparti, non pensare, non scrivere”. La menzione speciale per avere mantenuto una certa lucidità va invece a J Mascis (Dinosaur Jr.): “Non abbiamo mai comunicato per davvero. Non sapevamo come, credo. Troppo giovani. Non l'avevamo ancora imparato”. Si capisce che c'è uno spirito naïf in tutti questi gruppi che, con ogni probabilità, è il tratto più originale, insieme all'insistente ricerca di un'identità e di una consapevolezza. Non allineati, non organici, sempre piuttosto distorti, come la loro musica, sono stati, in buona sostanza, splendidi outsider e l'implicito omaggio di Michael Azerrad è un'apologia dei rimpianti e dei sogni infranti, delle occasioni perdute e dei risultati raggiunti attraverso il do it yourself, infine più legati alla sfera della personalità e delle singole esistenze che ai risultati economici. Diceva ancora Ian McKaye: “Se vieni a sentirmi suonare della musica si manifesterà in quel modo. Se vieni a trovarmi a casa, vedrai il modo in cui vivo. Se ti preparo una cena, vedrai il cibo che mangio. Ci sono arrivato dopo aver riflettuto sulla mia vita e considerato quel che ho ereditato, quello di cui ho bisogno e quello di cui non ho bisogno, ciò di cui mi posso disfare e ciò che voglio ottenere, ciò che è importante e ciò che non lo è”. Per qualcuno è stato soltanto “un piccolo segmento di mercato”, per Michael Azerrad “la battaglia è stata molto più divertente della vittoria” e il suo merito è stato quello di riunire le storie, mettendo in rilievo i mille fili invisibili che collegavano college, radio, fanzine, locali con le rock'n'roll band, mostrando una porzione significativa della gioventù sonica tra il 1981 e il 1991. Una rete importante, una lunga ed elaborata semina i cui frutti sarebbero poi stati raccolti da Nevermind dei Nirvana. Sarà proprio Michael Azerrad a scrivere la prima ricostruzione della tragedia di Kurt Cobain, ma questa è davvero un'altra storia.

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