domenica 15 dicembre 2013

Chuck Rosenthal

Dopo aver lavorato a un libro con un titolo che è tutto un programma, La morte della scrittura in America altrimenti conosciuto come Il libro di ogni cosa, Shark Rosenthal si divide tra la composita famiglia (una figlia di nome Gesù e l’avvenente compagna Diosa), un instabile incarico universitario, dozzine di incontri forieri di altrettanti evanescenti progetti e la sua vocazione alla scrittura. Il metodo di Chuck Rosenthal, non deve essere molto diverso da quello del suo alter ego protagonista di A Ovest dell’Eden: “Mi siedo e scrivo, scrivo la prima frase, poi la seconda e lascio che mi portino dove mi devono portare. Ed è sempre un libro diverso da quello che avevo concepito. Sono più interessato al linguaggio che alla storia”. La frenesia è filtrata con discrezione e si trasforma in un ritmo assiduo, forsennato, sincopato, spesso e volentieri esilarante. Sa usare tutte le deviazioni e le variazioni dell’immaginario pop, dal ribaltamento della realtà del cinema (siamo a Hollywood, dopo tutto) all’insistenza con sui sfoggia il suo name dropping, lasciando scivolare un nome famoso dopo l’altro e incastrandoli in una rete di eventi e relazioni collaterali impercettibile a occhio nudo e che non finisce mai perché “non c’è chiusura quando racconti una vita”. Figurarsi mentre si setacciano gli otto milioni di vivere e di morire di Los Angeles attraverso il filtro deformante delle parole che, nella percezione di Shark Rosenthal, “sono un miracoloso bisturi con cui i miracoli sono dissezionati”. Infarcite di rimandi e di riferimenti, dall’insistente presenza di William Gass, il suo mentore, a Bob Dylan e Jack Kerouac, fino al rivelarsi con lo spezzone da Tropico del Cancro di Henry Miller e l’apparizione di Mark Strand nel finale, le Cronache magiche da Los Angeles sono un flusso di parole che non è un romanzo proprio come Los Angeles non è una città, e proiettano una scrittura anarcoide, effervescente, incontrollabile in cristalli spezzati in mille frammenti e in tutte le direzioni, non solo A Ovest dell’Eden. La versione della California di Chuck Rosenthal unisce le visioni di John Steinbeck (anche il titolo contiene una piccola citazione) e di Jack Kerouac a quelle di Bukowski e Hunter S. Thompson riviste con una sottile, attualissima amarezza resa esplicita dalla convinzione che  “nulla nella nostra vita funziona davvero. Nulla collega un momento all’altro, ma la nostra convinzione è che le cose funzionino”. Nel gioco della rifrazione tra la realtà e il vero, Shark Rosental ha un’epifania quando giunge “a scoprire che c’erano molte illusioni a cui gli americani credevano, dalle assicurazioni sulla vita alle polizze varie, al credere che la cosa che hai comprato e pagato ti sarà consegnata a domicilio. Fino all’illusione di vivere in una casa o in un cosmo funzionante”. A Ovest dell’Eden vince il premio Pesca alla trota in America perché surreale non è il giornalismo magico di Chuck o Shark Rosenthal, è il mondo (e il modo) in cui viviamo e nessuno l’aveva (ancora) raccontato così.

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