sabato 28 ottobre 2017

Henry James

La panchina della desolazione è la risposta, compressa in un brevissimo romanzo, al soggetto proposto da Henry James con questo dettato: “Scoprite lo stato d’animo, indovinate la natura dell’agitazione da cui è posseduta la persona così stranamente rappresentata”. Il centro dell’attenzione è Herbert Dodd, una personalità senza pretese, fin troppo concentrato su se stesso al punto che Kate Cookham, dietro la minaccia di trascinarlo in tribunale, pretende e ottiene da un sostanzioso risarcimento per la loro mancata unione. Matrimonio è una parola che non appare tra i due, e una delle tante che Henry James lascia in sospeso: Herbert Dodd, modesto libraio, si ritrova a subire il peso di un debito che non sarà mai in grado di ripagare. Anche dopo aver sposato Nan Drury, la sua resa lo porterà a riflettere sul “senso ritrovato della desolata e inutile consapevolezza che aveva accompagnato l’atto del suo matrimonio”. Con la diafana e fragile Nan Drury sulla panchina va in scena la debolezza, l’arrendevolezza di un uomo e le sue contorsioni davanti alle intemperie dell'amore. Le qualità di Herbert Dodd non sono moltissime, e con tutto il grave fardello che lo accompagna, vedrà dissolversi la sua famiglia e rimanerrà, solo, sulla panchina in contemplazione del “mondo del suo presente squallore”. E’ lì che assiste alla danza di “spettri di stagioni morte”, fino a quando non riappare Kate Cookham. La forma ellittica della storia ruota attorno ai due, proprio come se fossero i fuochi, e se nella prima parte è concentrata sull’inerzia di Herbert Dodd, nella seconda vede lei protagonista di un colpo di scena, ma che lui, ancora una volta, interpreta a senso unico visto che “tutto era stato costruito su quella profanazione, ma, non sapeva come, stranissimamente, la cosa gli sfuggiva; così che, nel più bizzarro dei modi concepibili, quando sentì che non doveva lasciarla andare, fu come alzare la mano per salvare il passato, l’orrendo, concreto inalterabile passato, esattamente in quanto lei era stata la causa che quel passato era esistito e che egli aveva dovuto subirlo”. Herbert Dodd e Kate Cookham sono due magneti che si attraggono e si respingono nello stesso tempo e l’idea di un “rapporto sociale” che viene tradito, la frattura che paradossalmente li lega ancora è uno stretto legame platonico che si consuma proprio con La panchina della desolazione come ritrovo, una boa attorno alla quale gira la storia, e il suo capolinea finale. La tensione è palpabile, e se non si capisce cosa possa volere lei, si vede dove è arrivato lui, quando, firmando una sorta di malinconico armistizio con se stesso, dichiara: “Ho pensato per lunghi anni, credo, tutto quello che ero capace di pensare. Ho pensato che non so pensare più. Quindi è finita”. E’ quasi un sollievo: la pressione è continua, anche nell’arco di un centinaio di pagine Henry James articola frasi lunghe, elaborate, ipnotiche, uno stile che si definisce fin dall’incipit quando introduce La panchina della desolazione ricordando che “le parole erano state dette nude e crude; ma una volta dette, sul punto, anzi, d’essere pronunciate, egli sentì di poter affermare a se stesso che esse gettavano, quasi la donna avesse girato un interruttore elettrico, la luce più viva proprio sulle sue ragioni”. Perfetto.

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