mercoledì 27 aprile 2011

Robert Stone

La short story è un mondo ormai raro e trovare narratori in grado di muoversi a loro agio in spazi poco più grandi di una canzone è ancora più difficile. La tradizione americana recente, tra cui George Saunders, Tobias Wolff, T. C. Boyle, vanta anche Orso e sua figlia di Robert Stone. Scrittore che ha frequentato la coda dell'onda lunga della Beat Generation, scegliendo poi formule espressive più complesse e adatte ai tempi (il capolavoro di Porta di Damasco), Robert Stone ha ben chiaro il senso della narrativa sia dalla parte di scrive (“Ho sempre pensato che uno dei vantaggi della fiction (a prescindere dalle sue funzioni più importanti) sia la possibilità di evasione”) sia da quella di chi legge (“Ogni essere possiede una vena di percezione profonda. Il problema è portarla in superficie”): due estremi che si traducono in visioni liriche e durissime, a tratti così spietate e drammatiche da lasciare a disagio il lettore. Anche se i sette racconti di Orso e sua figlia sono eterogenei per ambientazione, hanno in comune la varia umanità di perdenti che li popola. Si va dallo stesso stesso Messico di Malcom Lowry in Porque No Tiene, Porque le Falta alle periferie suburbane di MiserereSenza pietà Aiuto (un racconto che con un paio di tagli appropriati potrebbe essere scambiato per Raymond Carver), dalla wilderness di Orso e sua figlia ai Caraibi di Sotto i Pitons: cambiano i contorni, non l’idea cara a Robert Stone di rappresentare le “miserie umane” che contengono. Gente che guida barche a vela tra scogli e correnti strafatta di cocaina; guardie forestali armate di revolver e imbottite di metedrina; assistenti sociali alcolizzati che si svegliano alla mattina col dito sul grilletto di un Remington calibro dodici e non sanno perché; party girls & broken poets, come direbbe Elliott Murphy che credono di essere in guerra perché, come dice uno di loro “ci sono momenti in cui penso che non sarò abbastanza morto, o morto da abbastanza tempo, per togliermi dalla bocca il gusto di questa vita”. Orso e sua figlia è però anche l’occasione di parlare ancora di Porta di Damasco, un magnifico libro che sull'endemico conflitto tra arabi e israeliani spiega più di tutta la CNN e i giornali di questo mondo messi insieme. Certo, non è una short story, ma tra CIA, fanatici di tutte le religioni, discussioni filosofiche, complotti, agenti segreti nei cunicoli di Gerusalemme, Porta di Damasco, rappresenta al meglio la percezione di Robert Stone, che così scrive: “Forse era lì che il mondo si divideva tra la razza di coloro in qualche modo responsabili e quella dei non responsabili. Era una divisione che, personalmente, gli riusciva difficile tracciare. Ma attorno a essa ruotava un perduto universo di vergogna. Ognuno era destinato a scrutare per sempre in quell'oscurità quanto più profondamente avrebbe potuto o osato. Tutti volevano una risposta, una guida per gli sconcertati. Tutti volevano che morte e sofferenza avessero un senso”. Vale anche per Orso e sua figlia

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