martedì 15 maggio 2018

Jake Hinkson

Quando Geoffrey Webb intuisce che “la religione è il lavoro più geniale mai inventato, perché nessuno perde soldi fingendo di parlare all’uomo invisibile che sta lassù. Le persone credono già in lui. Hanno già accettato il fatto di doverlo pagare, e sono convinte che bruceranno all’inferno se non lo faranno. Se non riesci a far soldi nel business della religione, meglio che lasci perdere”, trova una piccola comunità che ruota attorno a Chruch Street a Little Rock, Arkansas e s’inventa l’idea di diventare pastore. Essendo poco più che neofita,  avendo a disposizione giusto una certa disinvoltura, al momento si deve accontentare di seguire i gruppi giovanili impartendogli a ripetizione uno schema elementare: “1. “Il mondo è il male; 2. I vostri genitori e la chiesa sono il bene; 3. Dovete scegliere fra 1 e 2”. È lì che vede per la prima volta Angela, una creatura spaurita e titubante che diventa l’oggetto del desiderio di Geoffrey Webb e che ben presto cade con innocenza tra le sue braccia. En passant, Angela è anche la figlia dei Card, e suo padre è il pastore. È la prima preda di una lunga scia di delitti che vedono il maldestro Webb protagonista di crimini dissoluti e disastrosi spinti dal fatto che“l’ambizione è soltanto un sogno con un’erezione”, solo che che la comunità che costituisce la chiesa a cui si dedica Geoffrey Webb è anche peggio dei suoi progetti criminosi. Inferno in Church Street nasconde (ma nemmeno tanto) una frecciata al commercio della fede e lo fa con un romanzo teso, bruciante e affilato come una corda di chitarra. L’ironia di Jake Hinkson, che è parte naturale di un certo approccio al noir, (e non sfugge il mescolare i luoghi comuni con i nomi, proprio a partire dalla famiglia Card) accompagna il cupio dissolvi di Geoffrey Webb che resta L’uomo peggiore del mondo finché non incontra la sceriffo Norris. Discendente di una famiglia di fuorilegge (che per le pratiche, la ferocia e la contorta natura dell’albero genealogico non è molto distante dalla saga dei Burroughs di Brian Panowich) capisce subito chi è (davvero) Geoffrey Webb e cosa ha combinato. A rigor di legge l’Inferno in Church Street dovrebbe finire lì e invece prende una piena ancora più oscura e sotterranea. Geoffrey Webb è un perdente e un impostore che diventa criminale per caso che si scontra con delinquenti per vocazione e per consolidata tradizione. Anche se ha già trasgredito, per via della frequentazione di Angela (che comunque era minorenne) lo sceriffo Norris non vede in lui un problema per l’ordine pubblico o il rigore morale di Little Rock, ma l’occasione per farlo diventare il terminale di un ricatto con obiettivi molto più ampi e cinici di una passione proibita. Dall’incontro con lo sceriffo Norris le movenze dell’Inferno in Church Street si fanno più convulse e Jake Hinkson mostra un’insospettata capacità nel mantenere il controllo lasciando andare Geoffrey Webb alla deriva con un finale, a modo suo, sorprendente. Circoscritto con un prologo e un epilogo da road movie, Inferno in Church Street spalanca una porta su una nuova e spiazzante visione del noir, che poi, a ben guardare, si rivela antica e radicata come i crimini che racconta. Per dire, con tutto il rispetto e la dovuta distanza, non è difficile trovare le connessioni minime e indispensabili con un classico come La morte corre sul fiume. Ecco, prendete Davis Grubb, un frullato di anfetamine e una spruzzata di leggerezza pop (che non guasta mai) e scoprirete che una discesa nell’Inferno in Church Street chiede davvero poco e garantisce la giusta soddisfazione.

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