mercoledì 13 dicembre 2017

Charles Simic

La nutrita selezione di poemi che compone Hotel Insonnia rappresenta l’antologia ideale per compiere un primo passo verso la conoscenza di Charles Simic. Ci sono versi che vanno da Macelleria del 1971 (“Qualche volta cammino a notte fonda e mi fermo davanti a una macelleria chiusa. C’è solo una luce nel negozio, la luce del forzato che scava il suo tunnel”) al 1999 con Il topo nella radio (“Dopo gli ultimi notiziari, prendi coraggio, per grattare un paio di volte alla parete del tuo nascondiglio. Ora che le luci sono spente, avverti il freddo, la desolata solitudine, e così porgi il tuo quesito, o forse un saluto sentito? E resta la notte, senza stelle, interminabile e in ogni caso senza traccia di pietà”) nonché un’appendice di tre poesie (Gli scritti dei mistici, Madonne ritoccate con il pizzo e Nel mezzo) risalenti alle sue prime esperienze letterarie. La poesia di Charles Simic è una “spiegazione parziale” fatta soprattutto di immagini: un Sasso, le Angurie, un Mozzicone di matita rossa, una Forchetta, un Muro, dove “un incredibile mondo multiforme che accerchia da ogni lato” viene riletto attraverso liriche brevi, schegge perfezionate con un lavoro di intaglio certosino, che punta a sottolineare e a evidenziare le sporgenze e le asperità e nello stesso tempo ad armonizzarle. La frammentarietà (come scrive in San Tommaso d’Aquino: “Ho lasciato pezzi di me ovunque”) non impedisce a Charles Simic di avere una visione completa di un mondo dove gli oggetti prendono vita, dove “specchi & miracoli” sono, in effetti, gli strumenti per capire, come scriveva ancora in La vita delle immagini, che “tutti noi siamo una sintesi di realtà e irrealtà. E tutti noi indossiamo una maschera. Perfino dentro la nostra mente tentiamo di continuo di nasconderci a noi stessi, solo per essere ripetutamente smascherati”. Nel corso di Hotel Insonnia, che non nasconde la sua precisa collocazione temporale nelle intemperie della seconda metà del Novecento, Charles Simic si concede spesso a volto scoperto. Succede in Scena di strada (“Questo secolo strano, con la sua strage degli innocenti, e il volo sulla luna, ora mi sta aspettando, in una città strana, nella via in cui mi sono perso”) e ancora di più in Leggere la storia dove confessa: “A volte, quando leggo in biblioteca, intravedo i condannati a morte dei secoli passati, e i loro carnefici. Me le vedo davanti quelle pallide facce, come succede a un giudice che legga la sentenza, e provo meraviglia al pensiero che ancora non esisto”. E’ proprio lì che convivono una dimensione intima, introspettiva, persino onirica e una più scrupolosa, attenta e “politica”. Non a caso Leggere la storia è dedicata a Hans Magnus Enzesenberger, che potrebbe spiegare così quel delicato equilibrio: “Ora, non si può certo far parte di tutto ovunque, mi dico, stringo i denti e continuo a leggere”. E’ un destino condiviso con Charles Simic che, nell’appendice di Hotel Insonnia, svela le fonti primarie della sua poesia: “Non esagero quando dico che non posso nemmeno pisciare senza un libro in mano. Leggo per addormentarmi e per svegliarmi. Ho sempre letto al lavoro, in tutti i lavori che ho fatto, nascondendo il libro tra le carte sulla scrivania o nel cassetto mezzo aperto. Anche nella mia bara aperta, un giorno, reggerò un libro. Il libro tibetano dei morti sarebbe molto appropriato, ma preferirei un manuale sul sesso o le poesie di Emily Dickinson”. Un’abitudine che non ha controindicazioni o effetti collaterali, se non la crescita spontanea di una rara sensibilità. 

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