lunedì 11 settembre 2017

Wallace Stevens

L’azzurro è la sfumatura dominante nel Mattino domenicale di Wallace Stevens. E’ ovunque, e non soltanto in L’uomo con la chitarra azzurra, dove è richiamato in modo esplicito quello che Picasso chiamava “il colore di tutti i colori”. La presenza del pittore spagnolo in Mattino domenicale è poco più che simbolica eppure rivela e rende luminosa la proclamata singolarità di Wallace Stevens. Come scriveva René Char, “la grande rivoluzione delle arti che ha compiuto praticamente da solo, è che il mondo è la sua nuova rappresentazione”. Un indizio insolito e sorprendente che annoda con un sottile e contorto filo (blue) l’immaginazione della poesia e la realtà. In Anatomia dell’influenza, Harold Bloom sosteneva: “Wallace Stevens sa di essere diverso perché è consapevole che l’io e la poesia sono finzioni”. L’apoteosi di questa definizione è proprio L’uomo con la chitarra azzurra, in cui Wallace Stevens esordiva con questi versi: “E’ la vita, e le cose come sono, questo ronzio della chitarra azzurra”. Nessun dubbio: l’insieme delle apparenti contraddizioni è una reazione a catena che permette lo sfoggio di una lingua ricercata, modellata, concentrata sull’ipotetica vibrazione delle parole, a sua volta una finzione nella finzione perché “la poesia è il tema del poema, da ciò il poema ha origine ed a ciò fa ritorno. Fra questi due estremi, fra origine e ritorno, c’è un’assenza in realtà, le cose come sono. O così pare”. La poesia di Wallace Stevens è un’idea di ritmo, sapendo che la “musica è dunque palpito, non suono”, che trova poi la sua espressione paradossale negli alberi intelligenti, nelle “frontiere del reale”, con “l’aria buona” e infine in “un’orgiastica ronda di creature”. A margine di Mattino domenicale, Wallace Stevens spiegava che “la vita è una questione di gente e non di luoghi. Ma per me la vita è una questione di luoghi, e questo è il problema”. Il genius loci va cercato individuato, di nuovo accanto a L’uomo con la chitarra azzurra: “E’ la terra, per noi nudo deserto. Non esistono ombre. La poesia, la musica trascende e tiene luogo del cielo vuoto e dei suoi inni. Il loro posto prendiamo noi nella poesia, e nelle ciarle della tua chitarra”. Poco più in là, noncurante di possibili ridondanze, Wallace Steves raddoppia la dose: “Un’aria ci trascende quali siamo, ma nulla cambia la chitarra azzurra: nel suono stiamo come nello spazio, senza che nulla cambi, eccetto il luogo di cose come sono, solo il luogo come le suoni sulla tua chitarra, luogo oltre il cerchio delle mutazioni, in finale atmosfera percepito; per un istante ultimo, nel modo che il pensiero dell’arte sembra ultimo quand’è l’idea di dio folta rugiada, il suono è spazio. La chitarra azzurra si fa luogo di cose come sono, e simmetria dei sensi delle corde”. Il mantra del Mattino domenicale, “le cose come sono, come sono, come saranno ancora a lungo andare”, è un refrain che induce a riflettere a fondo sulla sovrapposizione di realtà e poesia che Harold Bloom provava a illustrare con una specie di equazione letteraria: “La fede definitiva di Stevens è la finzione con la piacevole certezza che ciò in cui si crede non è vero. Questo non inficia però la verità di ciò di cui si è certi”. La fonte di questa autorevole e criptica definizione è anche l’unica possibile risposta, e va trovata nel poema di Wallace Stevens, dove dichiara, senza possibilità di fraintendimenti: “Io e la chitarra azzurra siamo una cosa unica” ed è da lì che si accordano i voli pindarici: “Getta via le formule e le lampade, e di ciò che tu scorgi nelle tenebre, di’ che è questo o che è quello, senza usare i vocaboli corrotti. Come potrai avanzare in quello spazio, se dello spazio ignori la follia, se ne ignori le allegre procreazioni? Getta via le tue lampade. E che nulla stia tra te e le parvenze che tu assumi quando alle cose si rompe la crosta”. Se nelle Credenze d’estate (“La direzione qui si ferma e tutte le cose alla sua volta: quel che esiste, quel che è estremo accettiamo come giusto, nostro bene e alveare alto fra gli alberi, miscuglio di colori ad una festa”) s’insinua l’influenza di Shakespeare, Wallace Stevens prova e riprova a spiegare le sue intenzioni: “Voglio confrontare la natura come si confrontano due leoni, il leone nel liuto che si misura con il leone imprigionato nella pietra. Voglio, come uomo di immaginazione, scrivere poesia che abbia tutto il potere di un mostro uguale in forza al mostro che scrivo. Voglio che l’immaginazione dell’uomo sia completamente adeguata di fronte alla realtà”. Tra le Liriche sparse, quel suo protagonista, lo raffigura “in un tal mondo, dove non c’è altro senso, il vero stesso è calma, il vero stesso è estate e notte, è l’uomo che s’attarda lassù chino leggendo”. Ancora nelle pieghe di L’uomo dalla chitarra azzurra aveva avvisato che “è una forma descritta ma difficile”, forse più facile, interpretazione dopo interpretazione, da vedere come in un sogno.

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