martedì 11 aprile 2017

Jim Harrison

Le responsabilità cominciano nei sogni anche per chi, come Joseph, ha vissuto di “cose semplici, che comunque gli avevano riempito la vita, e che conosceva così nell’intimo che lo prendeva il panico all’idea che potessero venire spazzate via come nuvole”. Da una parte è rimasto con la fattoria della famiglia, troppo piccola per offrire una qualche garanzia e troppo grande per essere mandata avanti da solo, perché “c’era poco da ricamare teorie quando si doveva mandare avanti una fattoria: si era sempre sul limite della sussistenza, e per di più si faceva parte di un passato, di un modo di esistere sulla terra che stava scomparendo”. Dall’altra, cerca di propinare la passione per la letteratura nella sperduta landa del Michigan dove, “nel corso dei suoi lunghi anni di insegnamento, Joseph era arrivato a pensare che l’analfabetismo non fosse un gran male, se l’unica carta stampata disponibile consisteva in notizie sportive, bollettini sul bestiame, fumetti e idiozie assortite”. Per lui, che adora John Keats, Emily Dickinson, Walt Whitman, arriva proprio in quel momento la certezza che “la vita, in rare occasioni, può offrire qualcosa all’altezza dell’immaginazione”. Un giorno intreccia una relazione con una studentessa, Catherine, figlia di un veterano e lì l’imprevedibile prende forma nella constatazione che “la gente non si innamora perché c’è un motivo. Quando capita, capita”. Davanti a Joseph si spalanca un bivio affollato dal fantasma di Orin, il migliore amico scomparso in una delle guerra americane, dalla lunga e indefinita relazione con Rosaelee, che lo aspetta da una vita, dai consigli del suo dottore, dall’intervento del maggiore, il padre di Catherine, dall’apprensione della sorella Arlice e, più di tutto, dalla dimensione della smalltown dove non si può nascondere nulla e ognuno ha il proprio bravo fardello di sotterfugi, di ferite e di rimpianti. La grazia di Jim Harrison nell’avvicinare i suoi protagonisti trova in Joseph il cardine ideale, anche per parecchi spunti autobiografici. Se l’uomo si considera come l’unico mammifero che è parte di una specie, la dimensione riflessiva, qui rappresentata anche dall’elemento onirico, è la sua caratteristica dominante. Solo in mezzo alla natura, a caccia e a pesca, Joseph (e Jim Harrison) trova la sua dimensione che viene sottolineata dall’incognita di un coyote, guardingo e inafferrabile nella sua selvatica bellezza. Non a caso, il viaggio che conduce al finale, una gita scolastica a Chicago, è un segnale palese: soltanto fuori dai confini della contea, lontano dagli sguardi e dalle impressioni, le decisioni potevano essere consumate. Il romanzo si risolve lì e il racconto, che rimane sospeso, in equilibrio, come è giusto che sia, è stato riassunto da Richard Brautigan così: “Una storia d’amore forte e tenera, che parla di un uomo davanti alla grande scelta che muterà per sempre la sua vita. I personaggi sono così reali, che spesso i miei occhi si sono riempiti di lacrime di fronte alla loro insicurezza, alla loro umana impotenza”. E’ Jim Harrison, naturale al 100%.

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