martedì 28 marzo 2017

Robert Frost

L’incanto della poesia di Robert Frost non è tanto e non è solo quello di trovarci “le parole migliori nell’ordine migliore”, per dirla con Coleridge. E’ la convinzione, alla fonte, di una scelta non emendabile, non rinviabile, perché c’è solo una strada che si può prendere quando si afferma: “Non desidero che il mondo venga reso più sicuro e accessibile alla poesia. Vada al diavolo. Fatti suoi. Affoghi pure nel suo materialismo. Anzi, non vada al diavolo ma se ne stia così com’è mentre io ne faccio arte”. La Conoscenza della notte è l’apologia conclamata di quei “cuori non avversi all’illusione”, come li chiamava Robert Frost in Ottobre, anche, per non dire soprattutto, al cospetto di tutte le circostanze avverse che “ci lasciano alla strada che abbiamo presa così, come due sul cui conto si fossero sbagliati, che nell’angolo a volte ce ne stiamo acquattati, coi nostri ostili, erratici e serafici sguardi, tentiamo di non sentirci dimenticati”. I versi di Negletti sono un parte considerevole di quel “dono totale”, che la poesia di Robert Frost interpreta con una naturale spontaneità, capace di ascoltare La voce degli alberi o di assecondare il Rio Hyla ovvero quando un fiume è “ormai soltanto per chi ha memoria buona. Questo come si vede è tutt’altro che i fiumi invocati altro in canto. Noi amiamo le cose che amiamo per quel che sono”. Sono lì, nelle pieghe della wilderness, che si trovano i versi che sono diventati quasi dei sigilli. Una prima direzione, inevitabile, in La strada non presa: “Divergevano due strade in un bosco, e io... Io presi la meno battuta, e di qui tutta la differenza è venuta”. Speculare (e a ben vedere, complementare) a La strada non presa è Fermandosi accanto a un bosco in una sera di neve. Stessa posizione, sulla mappa, ma un’altra prospettiva: “Bello è il bosco, buio e profondo, ma io ho promesse da mantenere e miglia da fare prima di dormire”. Naturalmente, la fatale Conoscenza della notte: “Ora sia pure la notte buia quanto le pare e tanto buia per me ch’io non possa guardare dentro il futuro. E sia quel che sarà”. Robert Frost non si nasconde, non è riluttante, è giusto Un po’ scontroso, per amore delle ombre e difendere la dimensione personale: “Per me voglio tenere solo la libertà del mio materiale: la capacità occasionale di corpo e mente di pescare convenientemente nel grande caos di tutto ciò che ho vissuto”. Essendo un poeta tanto ricco quanto essenziale (“Scrivere è tutta questione di avere idee. Imparare a scrivere è imparare a avere idee”), non va cercato Né lontano né in profondo: si concede, senza esitazioni, senza ripensamenti: “Niente lacrime nello scrittore, niente lacrime nel lettore. Niente sorpresa per lo scrittore, niente sorpresa per il lettore. Per me la gioia iniziale è nella sorpresa di ricordare qualcosa che non sapevo di sapere. Sono in un posto, una situazione, come materializzato da una nuvola o sorto da terra. V’è un felice riconoscimento del lungamente perduto e il resto segue”. Va accettato, questo sì, e infine, “ogni rivelazione” possibile è contenuta nei che concludono Di un albero caduto attraverso la strada. Potrebbero essere il commiato ideale: “Non ci faremo distogliere dall’obiettivo finale che in noi segreto abbiamo da raggiungere, dovessimo afferrare la terra per il polo e, stanchi di girare a vuoto in un sol posto, gettarci a inseguire qualcosa nello spazio”. E’ dove va cercato “il suono del senso”, il miraggio della primordiale simbiosi tra musica e poesia.

Nessun commento:

Posta un commento