sabato 18 marzo 2017

Patti Smith

Mentre Robert Mapplethorpe, “vittima di una maligna metamorfosi”, se ne sta andando, Patti Smith immagina, sogna, vede e prepara per lui un viaggio verso le isole Salomone, terre vulcaniche di “beatitudine equatoriale”, come canterà in Beneath The Southern Cross. La rotta nelle allegorie del Mar dei Coralli viene tracciata dall’istinto e dall’inerzia in parti uguali ed è presentata così dalla stessa Patti Smith: “Quando se ne andò, non riuscivo a piangere, perciò mi misi a scrivere. Poi presi le pagine che avevo scritto e le riposi. Eccole, sono queste pagine, il mio addio alla mia avventura, alla mia gioia sconfinata”. Lei lo guarda spegnersi e sparire e vede in lui i fanciulli delle sue letture, Kim, Peter Pan, con la stessa aura scintillante: “Sognava. Dormiva. No, non sognava affatto. Era piuttosto soggiogato da uno strano senso d’amore. Un grembiule di occhi che tremavano e esplodevano come tanti bulbi. Un unico tulipano. Grande, solitario e nero, come una macchia sul sole”. Patti Smith procede già nella ricostruzione del ricordo, nella conservazione della memoria e, nell’appropriarsi delle gesta e dei simboli, presta a Robert Mapplethorpe le parole che nessuno dei due riesce più a pronunciare: “Come potrei essere incolpato, sussurrò. Per il bisogno di tanta opulenza. Per occhi che volevano dare un nuovo assetto alle cose. Per essere stato uno che voleva niente meno che abbracciare il crinale di una montagna mentre la luce vi giocava sopra”. Per quanto metaforico, l’attraversamento dell’oceano necessita di identificare con precisione i naviganti ed è così Patti Smith racconta Robert Mapplethorpe: “Adorava la prospettiva di un rapporto imprevisto. La curva di uno stelo contro la gola di una dea caduta. La voluta di una rete in una sala nuda. E quando ci si aggirava in quello spazio così abilmente trasformato, era come penetrare davvero nel miracolo di una mente eccezionale”. Il senso della prospettiva nella sua fotografia resta testimone di tanta ammirazione e anche di “come avrebbe voluto, per un attimo, stringere una vita sottile e fare un giro di valzer sulle lucide tavole di legno. Affascinare la bellezza, essere audace e seducente, essere inebriato dall’amore, e una ragione per credere”. Dovrebbe essere un dialogo, ma sull’altra sponda ormai c’è il silenzio, e Patti Smith si assume la responsabilità di tradurre l’intesa, la complicità, lo spirito che li legava: “Era arrivato alla conclusione che ciascuno di noi sa tutto, perché il destino è dentro di noi, permea il nostro respiro. Sua è l’atmosfera su cui il bambino posa il capo come su un cuscino. I segni agitano le braccia, mentre noi passiamo oltre. Gli amanti distolgono gli occhi finché la percezione tremante diventa insopportabile, e si separano. Ciascuno tenendo un pezzo di futuro, con le due metà che si combinano insieme come un cuore da quattro soldi”. Lui era Queeneg e lei l'inevitabile Ismaele, ma poi, “una folta rapida di vento afferrò l’orlo della coperta. Non amava il guerriero, né la guerra, ma certi rituali, relitti di guerra. La sciarpa del samurai, la ciotola di saké versata nel vento divino. E nel controllare pezzo per pezzo i suoi strumenti, raggiunse il comportamento di chi non appartiene più a nessuno, a niente, salvo ai propri sogni, al proprio destino. E ne è schiavo”. Un’estrema forma di saluto, coagulato attorno ai primi germi di quella scrittura che, dal minuscolo bozzolo di Mar dei Coralli, porterà entrambi protagonisti, una volta tornati indietro nel tempo, a Just Kids, quando erano ancora insieme, affamati d’arte e di bellezza, trepidanti, sognanti.

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