lunedì 20 marzo 2017

Masha Gessen

I fratelli Tsarnaev, Tamerlan e Dzhokar alias Jahar, sono i responsabili degli attentati al traguardo della maratona di Boston in occasione del Patriots Day, 15 aprile 2013. Tamerlan è morto in seguito alle ferite subite nel corso di un conflitto a fuoco con la polizia, quattro giorni dopo. Dzhokar è stato arrestato, processato e condannato alla pena di morte. Dalla scia di sangue che si sono lasciati alle spalle in poi, la ricostruzione di Masha Gessen è davvero scrupolosa e dettagliata e non cerca di generare nella storia dei fratelli ceceni delle motivazioni o delle attenuanti (non ce ne sono) ma compie uno sforzo in due diverse direzioni: capire da dove sono partiti, e dove sono arrivati. Nel Daghestan ci si stupisce se qualcuno spegne la sigaretta mentre rifornisce di metano la propria auto, e “il semplice fatto di vivere” in una “condizione premoderna”, con un conflitto in corso, è una spinta sufficiente per migrare e “per trovare un posto migliore”. La famiglia Tsarnaev ha sempre assecondato quell’istinto alla partenza e Masha Gessen, lei stessa figlia americana dell'immigrazione, ricorda che “non si descrive mai il modo in cui la vita quotidiana perde colore perché nulla è familiare, il modo in cui la concretezza del vivere sembra svanire. Non si dice neanche una parola sul fatto che non sai più chi sei, dove stai andando, con chi e perché e il timore esistenza senza pari di questa condizione. Soprattutto, non si torna mai sulla propria decisione: dal momento in cui passi il confine, c’è solo il futuro”. Proprio in quel senso, cercando di delineare I fratelli Tsarnaev svela uno dei nodi principali all’origine dell’alienazione: “Le famiglie di immigrati spesso patiscono una sorta di inversione: i bambini smettono di essere bambini, perché gli adulti hanno perduto il loro ruolo. I bambini non diventano adulti competenti dall’oggi al domani; attraversano un periodo di intensa sofferenza e sradicamento, tanto più doloroso in quanto obbligato e inatteso. Ma all’altro capo del dolore individuano il loro ruolo e lo assumono rivendicando il loro posto nel nuovo mondo”. Quando l’idea di “far parte della squadra” si sgretola nella convivenza con le contraddizioni della società americana, gli “outsider in mezzo ad altri outsider” tendono a riprodurre la violenza come l’hanno vista e vissuta. Forse più che la radicalizzazione (religiosa o politica) è lo sradicamento a determinare la sequenza, ma le analisi rimangono sullo sfondo di quella che è davvero Una moderna tragedia americana e Masha Gessen non lo nega: “La storia che cercavo di raccontare non parlava di grandi cospirazioni e neanche di enormi esempi di ingiustizia. Le persone che hanno un ruolo chiave in questa storia sono poche, le idee che coltivano sono semplici e i piani che elaborano sono tutt’altro che lungimiranti. Era il tipo di storia a cui è più difficile e spaventoso credere”. La paura che deriva dal dolore, dallo shock, dalla brutalità delle esplosioni è altrettanto pericolosa perché le limitazioni alle libertà decretate dalle esigenze di sicurezza (di fatto, la legge marziale imposta durante la caccia ai fratelli Tsarnaev) sono l’anticamera di uno stato in guerra, ovvero l’unico, vero momento in cui le distanze tra America e Daghestan si sono azzerate. A saldo delle (immancabili) teorie del complotto, di qualche legittimo dubbio, l’humus è quello descritto dall’antropologo Scott Atran: “Mentre la globalizzazione economica ha schiacciato o lasciato da parte una larga fetta dell’umanità, la globalizzazione politica coinvolge attivamente le persone, quale che sia la loro società e il loro percorso di vita, anche le vittime dell’economia globale: profughi, migranti, emarginati e coloro che vedono maggiormente frustrare le proprie aspirazioni. C’è infatti, accanto a un mondo piatto e fluido, un mondo più tribale frammentario e divisivo, poiché le persone strappate a tradizioni e culture millenarie galleggiano in cerca di un’identità sociale che sia individuale e intima, ma nello stesso tempo dia il senso di uno scopo più grande e una possibilità di sopravvivenza al di là della dolorosa e passeggera quotidianità”. In questo limbo, la dimensione che spinge il ricorso alla violenza non è nemmeno lontanamente ideologica o filosofica, perché, come ha capito Masha Gessen con I fratelli Tsarnaev “essere nati nel posto sbagliato nel momento sbagliato, come capita a molte persone, non sentirsi mai inseriti, vedere sfumate tutte le occasioni, anche quelle apparentemente a portata di mano, finché l’occasione di essere qualcuno finalmente, quasi casualmente, si presenta”. Come o con quale prezzo da pagare, a quel punto, non è più importante. Un libro lucido, coraggioso, scomodo.

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