martedì 7 febbraio 2017

Walt Whitman

Prima l’America, okay, ma dato che “una bellezza delle parole consiste nell’esattezza”, cosa rappresenta il vocabolo in sé? La dimensione delle parole, più che l’uso (e abuso) è una felice ossessione di Walt Whitman e la somma di note e appunti raccolti in Un sillabario americano assume un valore indipendente, singolare e speciale, una volta collocata nell’attualità, dove peraltro sta benissimo. Walt Whitman sapeva che “le parole non sono originali né arbitrarie in se stesse” e, affascinato dall’insorgere di “nuove parole richieste dalle nuove situazioni, dai nuovi fatti, dalle nuove politiche, dalle nuove combinazioni”, con innato trasporto si è lanciato in una serie di riflessioni, appunti e tracce nel tentativo di definirne un profilo accettabile. Essendo un poeta, Un sillabario americano non esprime analisi, comparazioni, etimologie, esegesi, ma è un inno entusiasta, che comincia così: “Le parole sono state creare per esprimere i pensieri della vostra e dell’altrui mente, per esprimere tutte le aspirazioni, i desideri profondi, le passioni, l’amore e l’odio, la noia e la follia, la disperazione degli uomini per le donne, e quella delle donne per gli uomini; per esprimere il carico e il sovraccarico, lì nella testa che abbiamo posata sul corpo, che elettrizzano il corpo che sta sotto la testa, o scorrono con il sangue nelle vene; o si manifestano in quei curiosi e incredibili miracoli che chiamiamo vista e udito; insomma, per esprimere tutte queste cose, e molte altre simili, ebbene, è per questo, ripeto, che sono state create le parole. Sono queste le parole che non sono mai né nuove né vecchie”. Lo scopo di Un sillabario americano è individuare le parole tra le lingue, i gerghi, i dialetti che andranno a confluire in un nuovo idioma, che solo in parte coincide con l’origine anglosassone. Walt Whitman era già convinto che “tra breve gli americani saranno il popolo che parlerà nel modo più fluente e melodioso della terra, e saranno i più perfetti fruitori e utilizzatori di parole. Le parole sono conseguenze del carattere e da esso derivano origine, indipendenza , individualità”. Per quello insisteva nel richiamare l’attenzione all’applicazione del vocabolario, per esempio, invocando il rispetto della toponomastica nativa perché i nomi “sono fatti, discendenza, maternità, fedi”. L’equazione è fin troppo elementare: gli togli il linguaggio, li rendi stranieri, li rendi schiavi. E’ proprio il senso di Un sillabario americano, fin dal provvisorio titolo, quello di “offrire allo spirito, al corpo, all’individuo, nuove parole, nuove potenzialità del linguaggio... Una sorta d’estensione americana e cosmopolita della libera espressione della propria personalità (il meglio dell’America consiste proprio nel migliore cosmopolitismo)”. Incredibile, a dirsi, ma non ci sono parole migliori per descrivere il bisogno disperato di un’altra America, dell’America ideale, di Walt Whitman che in Foglie d’erba scriveva “Guardate attraverso gli atlantici abissi, le pulsazioni americane che raggiungono l’Europa, le pulsazioni dell’Europa che debitamente rispondono”. Era profetico, in quelli che Ralph Waldo Emerson chiamava “liberi e audaci pensieri”, e non di meno la parte conclusiva del sillabario, che riporta a Brooklyn, all’infanzia e all’albero genealogico di Walt Whitman è altrettanto pertinente perché nella sua storia personale si riflette il canto di se stesso e di una nazione, il sogno di qualcosa di nuovo, un’utopia per cui “probabilmente sono necessarie altre parole”. Walt Whitman lo diceva alla fine della guerra di secessione: valeva allora, oggi ancora di più.

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