lunedì 20 febbraio 2017

Allan Gurganus

Una figlia straordinaria, Caitlin Cait Mulray, spinta dall’istinto della buona samaritana, induce l’intera Falls, North Carolina a condividere una condizione di eccezionalità. In effetti, la cittadina immaginaria dove si svolge la trilogia Locals Souls rimane solo sullo sfondo: tutto succede tra le mura domestiche e una strada a fondo chiuso in un quartiere residenziale. Falls è una località singolare, che pare limitata a quel cul de sac dove vivono Cait, i due fratelli gemelli e la madre, Jean Mulray. Restano in sospeso, e sono relative, le altre indicazioni, River Road, il parco a sette chilometri o il ghetto dove Cait va a distribuire generi di prima necessità. L’entusiasta generosità di Cait è unilaterale, più che francescana, e finché si limita a dispensare il superfluo, qualche elettrodomestico usato o le scarpe della madre resta più o meno tollerabile. Quando Cait, alla vigilia del passaggio all’università, decide di passare un’estate in Africa, nella sua storia ci si accorge che Anche le sante hanno una madre, e si apre una frattura continentale che non è soltanto geografica, anche se la distanza inciderà parecchio. E' proprio il romanzo che si divide, quindi si sdoppia. A partire dal rapporto tra madre e figlia che viene duplicato tra Cait e Jean, e Jean e Ice. Le due parti del romanzo stesso si specchiano a partire dal colpo di scena magistrale che Allan Gurganus piazza lì, in mezzo, nel posto dove deve stare, come una ferita che separa i lembi della stessa pelle che non vogliono più stare insieme. Quel momento di Anche le sante hanno una madre fa apparire tutto ciò che l’ha preceduto giusto un elaborato prologo e tutto quello che segue un lunghissimo epilogo. La struttura in sé è singolare, se non proprio geniale, perché il coup de théâtre in effetti, come tutto in Anche le sante hanno una madre, è doppio, e non solo, è inizio e fine, alfa e omega, come direbbe il poeta preferito di Cait, ovvero Wallace Stevens. C’è un aspetto critico con cui Allan Gurganus, non senza una congrua dose di ironia, sottolinea alcuni cliché (a partire dall’esasperazione di un altruismo che conduce inevitabilmente all’Africa), ma soprattutto le contorsioni del rapporto tra madre e figlia, che s’inerpica tra la sfrontata innocenza di Cait e le frustrazioni di Jean (una poetessa, prima di diventare moglie, madre ed ex moglie). Il romanzo è perfetto, il ritmo è sempre incalzante, la descrizione dei personaggi (che sono tutto, con i dialoghi) sempre scrupolosa. L’abilità di Allan Gurganus è quella di riuscire a mantenersi in equilibrio perché in Anche le sante hanno una madre mantiene la tragedia sospesa sopra la commedia e la commedia si specchia nella vera tragedia, quella dell’incomunicabilità. Una delle poetesse più apprezzate da Jean, Elizabeth Bishop direbbe che Anche le sante hanno una madre scorre “come se un fiume trasportasse tutte le scene che ha mai rispecchiato chiuse nelle sue acque, e non a galla, effimere, fluttuanti”. L’immagine è consona: la tensione è costante perché deriva da Jean, dal suo essere e non essere, dalle possibilità sfiorate, dagli effetti collaterali del tirare avanti, nonostante tutto (i figli, la separazione, e quindi di nuovo i figli da sola, e poi Cait, e l'Africa) e dalla capacità di Allan Gurganus di leggere le fragili psicologie dei personaggi, persino i loro silenzi, in mezzo alle discussioni e alle giornate che non finiscono mai. Più di tutto, ha il tatto per portare a termine, senza un singolo cedimento, una storia a fior di pelle, bruciante e delicata nello stesso tempo.

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