lunedì 19 dicembre 2016

Rick Moody

Ci voleva il Nobel a Dylan per ricordarlo urbi et orbi, ma Rick Moody l’aveva già capito con Musica celestiale che “la letteratura, come la musica, vuole apertura, vuole esperienze, vuole presa di coscienza e emozioni, e vuole esprimere tutto questo con accuratezza e con dolcezza”. Una richiesta espressa in modo perfetto, anche quando i temi sono tra i più disparati: in Musica celestiale trovano posto le note scritte per i Wilco, il diario agrodolce di Due settimane al campo musicale, il capitolo dedicato a New York per la Rock’n’Roll High School di Little Steven, ovvero L’underground di New York 1965-1988, gli omaggi ai Pogues e ai Lounge Lizards. Anche se tesa a condividere “visione storica, immaginazione, brama culturale, e passioni e debolezze molto umane”, la dimensione è colloquiale, per cui il tono funziona sempre e la voce di Rick Moody, più che le sue analisi (che comunque sono accurate e documentate), risulta essere il collante ideale per rendere coerente e uniforme una composizione in realtà molto eterogenea. Contenuta da due estremi opposti e sovrapponibili: cool e underground sono le parole d’ordine che comprimono tutto quello che c’è dentro la Musica celestiale, i tempi e i rituali, le epifanie e le interpretazioni, gli alti e i bassi perché, come si premura di ricordare Rick Moody, “nella vita capita di toccare il cielo con un dito e di capire quanto sia importante quell’istante, ma poi ci si sveglia e ci si rende conto di avere ancora molta strada da fare. Oppure: tutte le cose giungono alla loro conclusione, specie la sensazione che la tua giovinezza sia stata memorabile; questa sensazione si affievolisce, gli occhi luminosi della giovinezza si velano di oscurità, tutto quel danzare attorno a certe colonne sonore di quegli anni finisce, e ti trovi a passare da un lavoro incompiuto a un altro e a cercare di tenere i creditori a bada. Arrivano più bollette che lettere d’amore”. La sfida ai luoghi comuni non è del tutto convincente, rimangono in sospeso La questione del declino o quella dei Piaceri inconfessabili, la musica come rifugio e come hobby, così come Rick Moody alterna fiction fiction e filosofia, narrativa e autobiografia, restando in bilico tra il racconto della sua esperienza e dell’esperienza in sé. Non a caso, I frammenti di Pete Townshend è forse il capitolo che rappresenta uno snodo, anche nella sua forma assemblata di più parti, perché Rick Moody sembra riflettersi, magari in modo involontario e spontaneo, nella tormentata personalità del chitarrista degli Who. Se non altro, Musica celestiale non cede alla tentazione di azzerare gli orologi o di cancellare una storia quando è chiaro che “questa musica del passato ci offre un rinnovato accesso alle nostre antiche percezioni e emozioni, e quindi con ogni probabilità c’è un che di intrinsecamente nostalgico nel piacere inconfessabile (benché ritenga la parola nostalgia inadeguata in questo contesto: sarebbe come dire che tutta l’opera di Proust ruota attorno alla nostalgia per un dolce). Ma se la musica riesce a dar voce a emozioni che altrimenti rimarrebbero inespresse, questa non è forse una ragione sufficiente per considerarla valida e importante?” Il senso più intimo e profonda della Musica celestiale è proprio nella risposta di Rick Moody quando dice che “la memoria è difettosa, costellata di errori, trasuda desiderio, eppure interagisce con la musica in modo duttile; come il jazz, la memoria è imprevedibile, e offre ai musicisti qualcosa su cui puntare, così come offre agli scrittori qualcosa su cui scrivere”. La definizione rimane quella, l’entusiasmo resta intatto ed esplicito quando viene così condensato e sollecitato: “Prendete il controllo del vostro splendido linguaggio. Mettete in funzione il vostro gergo alchemico. Rimescolate il vostro slang. Suonate i vostri innumerevoli fiati. Suonate bene. Suonate con sentimento”. L’esortazione, molto Beat Generation, in coda all’introduzione della Musica celestiale, è ambivalente e si può leggere anche al contrario visto che, come ribadisce Rick Moody, “la letteratura, pur manifestandosi sulla pagina, è un fenomeno acustico”. Ecco perché, tra l’altro, il Nobel è andato dove è andato.

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