sabato 24 dicembre 2016

Jim Harrison

L’espressione dei personaggi è il cuore delle storie di Jim Harrison e Vento di passioni, per via della metamorfosi in film di Leggende d’autunno (che resta il titolo originale della raccolta, poi modificato per ovvi motivi), è diventato il suo libro più fortunato, ma resta anche uno dei più espliciti e rappresentativi nel mostrare l’aderenza agli sviluppi delle sue creature. Nei racconti Jim Harrison è proprio uno storyteller nudo e crudo: lascia quel minimo indispensabile di spazio ai dialoghi (più che altro in Vendetta) e va a collegare le narrazioni con una voce diretta, come se fosse il commento a “una sorta di déjà vu permanente”. Una modalità che non chiede alter ego, intermediari o altri escamotage: Jim Harrison si limita ad allineare “i fatti puri e semplici, un concetto che usiamo volentieri quando cerchiamo di sfuggire alle paludi, in cui più o meno s’invischiano le nostre esistenze” e il lettore, più che affrontare le pagine, deve ascoltarle. Leggende d’autunno è un racconto che sfoggia una delle specialità ricorrenti nei menù di Jim Harrison, la saga familiare. Nello svolgere l’albero genealogico dei Ludlow, che occupa più di un secolo, serpeggia l’elemento della vendetta, e anche se “in fin dei conti la gente non ama farsi troppe domande, soprattutto quelle spinose che riguardano l’evidente assenza di un sistema equo di ricompense e di punizioni sulla terra”, per il protagonista, Tristan è un desiderio sufficiente e rivelatore. Leggende d’autunno ha la forma spudorata del soggetto cinematografico, senza un dialogo che sia uno, eppure in grado avvinghiare il lettore alla pagina, come l’anaconda comprata da Tristan si è attorcigliata all’albero maestro della sua nave e a cui hanno dovuto offrire un maialino per farla scendere, e questo aneddoto è Jim Harrison al cubo. A riprova che “uno stato di grazia non è mai solo” anche il secondo capitolo di Vento di passioni trova uno tra i più memorabili dei suoi personaggi tormentati dal passato, circondati e definiti dalle rispettive figure femminili, sempre sul confine tra un cambiamento e l’altro. Una situazione delicata e volubile perché, come direbbe Nordstrom alias L’uomo che rinunciò al suo nome, “la cosa più frustrante per un uomo che desidera cambiare la propria vita è l’improbabilità stessa del cambiamento”. Nordstrom che, in un’ideale galleria antologica dei suoi protagonisti, occuperebbe di sicuro una posizione centrale, balla da solo ascoltando i Dead e Otis Redding, è “un amante abbastanza esperto da preferire l’atto alla sua conclusione”, si divide tra la moglie (ormai ex) e la figlia, affrontando i resti spaventosi del mondo con un aplomb tutto suo, cucinando, stappando costose bottiglie di vino e pensando, un’attività non così scontata. A concludere l’ideale trilogia di Vento di passioni è Cochran, già pilota di un cacciabombardiere abbattuto nel Laos, che si trova in Messico “quasi divertito della propria circospezione, da quella volontà di sopravvivere a qualsiasi cosa fosse in grado di capire consapevolmente. Al momento non si sentiva nemmeno di rimpiangere il modo in cui aveva sprecato, una dopo l’altra, le varie occasioni che la vita gli aveva offerto. I rimpianti lo annoiavano e la sola energia che gli rimaneva quella notte era concentrata nello sforzo di capire come tutto ciò fosse potuto accadere: un’ambizione meccanica, a dir tanto”. Quello che c’è da sapere è tutto qui e lui, Nordstrom e Tristan sembrano lo stesso personaggio tradotto e sfumato da Jim Harrison in tre interpretazioni. Pur essendo molto differenti, i protagonisti di Vento di passioni si avvicendano su personalità con una notevole definizione, un carattere indomabile e nello stesso tempo portato all’introspezione e in fondo, degni esemplari del fatto che “ognuno desidera una parte di mistero nella propria vita, ma rari sono coloro che fanno qualcosa per meritarlo”. Da riscoprire.

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