domenica 4 dicembre 2016

Hart Crane

Daniel Mark Epstein chiama i versi di Hart Crane “assalti alla logica” ed è una definizione ben allineata a quella di Waldo Frank che a sua volta li inquadrava in “una superba espressione del caos”. Non c'è alcun dubbio che la poesia di Hart Crane sia un Giardino astratto, popolato da immagini e associazioni forti ed eccentriche che mettono in rilievo le parole, le levigano e le lasciano libere di mutare “cavalcando spontaneità che formano le loro orbite indipendenti”, come dice un verso in Le mele della domenica mattina. Le forme sono sempre ingombranti (Harold Bloom parla di “complessità”, e per dirlo lui), ma l’insistenza del ritmo è feroce, non lascia scampo, è tambureggiante, ed è piena di svolte, come avviene in Chaplinesque. Se all'inizio, “noi docilmente ci adattiamo, contenti di quelle fortuite consolazioni che il vento depone in tasche sfondate e troppo grandi”, poi il poeta e la sua poesia ci conducono a un livello superiore dove “il gioco impone compiacenti sorrisi; ma noi abbiamo visto la luna in vicoli solitari fare di un bidone vuoto dei rifiuti un fulgido graal di risate, e fra tutti i suoni della gaiezza e della ricerca, abbiamo sentito un gattino nella desolazione”. Se si segue con attenzione la cadenza, è facile intuire la stessa avvolgente natura del jazz che Hart Crane riassumeva nella meravigliosa percezione degli “ipnotismi di ottone”, poi particolareggiati in “mille piccoli sobbalzi ci bilanciano in mezzo a minacciosi soprassalti di melodia, ombre bianche scivolano sul pavimento, disseminate come carte aperte da una mano fiacca; ritmiche ellissi ci portano al galoppo in un qualche luogo con un gallo insolente”. Le destinazioni finali restano sempre un'incognita e un discorso a parte meritano i Viaggi compresi alla fine di White Buildings. Sono uno dei momenti più alti ed evoluti della poesia di Hart Crane, che qui si intreccia inevitabilmente con la sua umanità, come ricorda Harold Bloom: “I Viaggi sono poesie di intenso appagamento erotico ambientate nel Mar dei Caraibi, dove Hart Crane aveva trascorso le estati insieme alla nonna, sull’isola dei Pini, sin da quando aveva quindici anni. Proprio in queste acque il poeta, ormai trentaduenne, di ritorno a a New York dopo essersi mantenuto per lungo tempo a Città del Messico con la borsa di studio Guggenheim, cadde in depressione e si annegò”. Per questo i versi del secondo movimento, quando Hart Crane dice che “il sonno, la morte, il desiderio, sono racchiusi all’istante in un fiore che galleggia”, sempre secondo Harold Bloom hanno “l’autorevolezza di una profezia”. Questa proiezione, la visione dentro e oltre il tempo, è una proprietà che appartiene a tutta la poesia di Hart Crane e se serve un punto di riferimento, tra tutte le liriche di White Buildings, forse lo si può scovare in Leggenda: “Silenziose come si crede uno specchio, le realtà affondano nel silenzio vicino. Non sono pronto al pentimento; né a misurare rimpianti. Perché la falena non piega nulla più che la fiamma, ancora implorante. E tremuli, fra i bianchi fiocchi cadenti, sono i baci, l’unica verità che vale tutto. Questo va appreso, questo scindere e questo bruciare, ma solo quelli che ancora si consumano”. Follia e ragione possono aspettare in un angolo, il tempo, almeno qui, è dettato dal mistero della musica e della poesia.

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