mercoledì 16 novembre 2016

Andy Warhol

Amore, bellezza, fama, lavoro, tempo, morte, economia, atmosfera, successo, arte: La filosofia di Andy Warhol è il vademecum per comprendere la particolarissima ottica con cui vivisezionava la realtà, rileggendola e trasformandola, o almeno cercando una bellezza nei frammenti di vita, nelle brevi tregue tra un’incombenza e l’altra, convinto che “ognuno ha il suo proprio tempo e luogo per accendersi”. E’ proprio nelle logiche di Andy Warhol dare un senso ad aspetti insignificanti, almeno in apparenza, della vita quotidiana con un’attenzione di è nitida, continua, serrata. Quasi un diario di bordo, molto scrupoloso nei dettagli casalinghi, nell’osservazione della routine, con l’idea che, comunque, “alla fine l’intera giornata sarà un film”. La filosofia di Andy Warhol è tutta definita dalle immagini cinematografiche e televisive, come se fossero (e lo sono, ovviamente) traduttori simultanei della realtà, sfruttati però in modo creativo, o almeno con la consapevolezza “che una volta viste le emozioni da una certa angolazione non le si possa più considerare reali”. La percezione di Andy Warhol è solo per il momento, una visione del tempo fondata sul futuro e su un’immaginazione frigida (come direbbe il diretto interessato), concentrata, precisa e proprio per tutti questi motivi, geniale. Andy Warhol racconta la sua normalità, che è fatta delle ossessioni di un artista, dei suoi rituali, delle misure che prende alla sua vita, dei tempi che asseconda. La filosofia è mutevole, come l’umore. Solo le ossessioni che restano costanti e coerenti ed è ancora attualissima la sua dimestichezza nel generalizzare, con ironia e leggerezza snodi esistenziali complessi, che Andy Warhol traduce in aforismi brevissimi e pungenti. Il pop è proprio questo. Quando scrive che “alcune persone pensano che la violenza sia sexy, ma io non me ne sono mai accorto”, lo dice da sopravvissuto visto che soltanto qualche anno prima. Valerie Solanas gli aveva sparato contro tre colpi di pistola. Nello stesso modo riassume in pochissime parole il mistero gaudioso e doloroso del cosiddetto sogno americano spiegando come “l’America è veramente bella. Ma sarebbe ancora più bella se tutti avessero i soldi per vivere”, che poi in realtà si concentra e si sviluppa nell’idea del lavoro e del diventare qualcuno. A quel punto La filosofia di Andy Warhol è a un bivio, ma non rinuncia alla sfida, non è nella sua natura. Andy Warhol rimane un bizzarro “self made man”, un uomo di successo, che ha vissuto il suo ruolo sempre con un distacco regale: “Credo di avere una concezione molto approssimativa del lavoro, perché è mia convinzione che vivere sia già di per sé un grosso lavoro, che non si ha sempre voglia di fare. Nascere è un po’ come essere rapiti. E poi venduti come schiavi. La gente non fa altro che lavorare. Il meccanismo è sempre in moto”. D’altra parte La filosofia di Andy Warhol ha ragione di esistere in quanto riflesso e personificazione delle proiezioni, delle contraddizioni e delle fantasie del ventesimo secolo. La fama non è solo il celeberrimo “quarto d’ora”. C’è molto di più nello stardom system e nessuno è stato così chiaro come Andy Warhol nel comprenderlo: “Oggigiorno sei considerato anche se sei un imbroglione. Puoi scrivere libri, andare in televisione, concedere interviste: sei una grande celebrità e nessuno ti disprezza anche se sei un imbroglione. Sei sempre una star. Questo avviene perché la gente ha bisogno delle star più che di ogni altra cosa”. Poi, come scriveva nei suoi diari, “se volete sapere tutto su Andy Warhol, guardate semplicemente alla superficie dei miei dipinti e delle mie pellicole ed eccomi, lì sono io. Non c’è nient’altro oltre a questo”. Resta unico, non riproducibile, e forse questo è il vero paradosso che racconta La filosofia di Andy Warhol.

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