lunedì 19 settembre 2016

Joseph Heller

Quando Tim O’Brien sostiene che “in una storia di guerra c’è un senso connaturato all’importanza di vita e di morte, che altrimenti uno scrittore dovrebbe costruire in altro modo”, definisce un perimetro molto preciso, per certi versi persino ineluttabile. L’elemento bellico è una distorsione permanente, dove è impossibile domandarsi se “è realtà o un ricordo del passato”, come scriveva Josip Osti in Il libro dei morti di Sarajevo. Solo così si capisce il contorno della bellezza sottintesa da Comma 22: “Ero l’eroe di un film”, dice Joseph Heller. E’ una connotazione importante, per capire, in prospettiva, come si è snoda la sua attualità, che è quella di un classico, e non è soltanto perché la guerra è onnipresente nei secoli dei secoli. Ricordava E. L. Doctorow: “Quando Comma 22 venne pubblicato la gente sosteneva: beh, la seconda guerra mondiale non era certo così, ma quando ci trovammo impantanati nel Vietnam quel libro divenne una specie di manuale per la coscienza dell'epoca. Si sostiene che la letteratura non sia capace di cambiare niente, ma è certamente in grado di influenza la consapevolezza di una generazione”. Lo è diventato perché attraverso Yossarian, il protagonista di Comma 22, Joseph Heller è stato ben più che esplicito nel raccontare cos’è la guerra: “Ogni nuova giornata rappresentava una nuova pericolosa missione contro la mortalità”. Le storie degli avieri americani nei cieli italiani sono narrate in modo lapidario, grezzo, senza alcuna correzione di rotta: “Clevinger era morto. Ecco il difetto principale della sua filosofia della vita. Diciotto aeroplani s’erano abbassati attraverso una nuvola bianca e splendente poco lontano dalla costa dell’isola d’Elba, mentre tornavano un pomeriggio dalla missioncella settimanale a Parma; dalla nuvola ne uscirono diciassette. Nessuna traccia fu mai trovata dell’altro, non nell’aria, e neppure sulla superficie liscia dell’acqua verde di sotto. Neanche un frammento di aeroplano”. Questa è la sfida quotidiana e non c’è via di uscita perché la burocrazia e la disciplina sono altrettanto spietate, come è ribadito dal Comma 22, ovvero “chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. In effetti la follia è un’altra e “quando arrivò il momento in cui il colonnello Cathcart aumentò il numero delle missioni di volo prescritte a cinquantacinque, il sergente Towser cominciò a sospettare che forse ogni persona che indossava un’uniforme fosse affetta da pazzia”. Joseph Heller non si esime dall’affondare nelle radici con cui è alimentata la retorica perché quando non basta la patria, c’è sempre il richiamo alla gloria, come spiega il colonnello Korn: “Sai, questa può essere una soluzione: gloriarsi di qualcosa di cui dovremmo sentire vergogna. E’ un trucco che sembra riesca sempre”. Per quanto si cerchi di mascherare l’effettiva consistenza della guerra, la conclusione è sempre l’inevitabile sovrapposizione con la morte, che Comma 22 celebra con un’amarezza infinita: “C’era un tempo in cui provavo grande soddisfazione quando riuscivo a salvare la vita di qualcuno. Ora mi chiedo che dannato senso può avere, dal momento che devono tutti morire una volta o l’altra”. Sulla scia di Comma 22, l’avrebbe ribadito Rodolfo Fogwill in Scene di una battaglia sotterranea, alla fine è il destino, non la guerra, quello di cui stiamo parlando. Obbligatorio, oggi più che mai.

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