martedì 7 giugno 2016

Richard Price

New York, oggi, nei quartieri più popolosi, il Lower East Side, Long Island, Harlem, il Bronx, confini invisibili da una marciapiede all’altro, folla che sguscia dentro e fuori la metropolitana o è bloccata nel traffico o è in coda al pronto soccorso. Tutta una varia umanità di perdenti, di falliti, di piccoli criminali o, il più delle volte, di persone per cui l’esistenza della legge è altrettanto evanescente di quella della giustizia. Una squadra di detective (in alcuni casi, ex) con molti conti da regolare con se stessi, con un passato che ritorna come l’eco di una voce sconosciuta, con un presente che, come minimo, è piuttosto complicato, e infine con un nugolo di ossessioni e di fantasmi onnipresenti, inseguono ancora le Balene bianche ovvero “tutti criminali che avevano commesso delitti osceni sotto il loro naso ed erano sfuggiti alla giustizia”. Richard Price eleva all’ennesima potenza l’elaborazione di un paesaggio umano nel minimo comune denominatore di una metropoli che è sempre sorprendente nei suoi gangli storici e architettonici e nell’assenza di regole di ingaggio che rivelano una trappola, un agguato, un sotterfugio o un inganno a ogni angolo ed è fatta di notti insonni, alcol (molto alcol), armi improvvisate (e non), espedienti e coscienze tormentate. In questo habitat pulsante e nevrotico le Balene bianche hanno un ruolo predominante, pur essendo invisibili, e sono anche il riflesso delle occasioni perdute, dei rimpianti, dei fallimenti perché, come scriveva Herman Melville (uno che se ne intende, di balene) “la città è presa dai suoi ratti, ratti di nave, ratti di molo. Ogni civile bellezza e incanto sacerdotale che intimoriva i cuori, legati dalla paura, soggetti a un potere migliore del potere dell’io, questi come un sogno svaniscono e l’uomo arretra per intere età nella natura”. Nella sua centralità, la condizione esistenziale di Billy Graves riassume un po’ anche tutte le altre: non sono eroi senza macchia e senza paura, anzi. Hanno anche famiglie scomposte o disordinate con padri e figli e mariti e mogli, malati da curare, giornate lunghissime da risolvere. Nello stesso tempo, con un’indistruttibile vocazione all’amministrazione della giustizia e un’aderenza incondizionata ai dettati della legge, Billy Graves è anche la negazione delle Balene bianche e dei rispettivi cacciatori. L’atmosfera noir (nerissima) non è nella soluzione di un caso (anche se qui ce ne sarebbe un’ampia scelta, ogni santa notte), è frutto della costruzione di esistenze compresse dall’istinto della vendetta e dall’impossibilità del perdono. Il passato riemerge, rimbomba e si ripresenta, anche uno scambio di persona diventa la fonte di una reazione a catena di omicidi, le vittime tendono ad autoaccusarsi, non c’è certezza che regga, l’idea di verità vacilla e i detective sembrano ricordarsi a fatica che nella loro formazione “in una prospettiva a lungo termine, e al fine di formare gli uomini in modo ottimale e prepararli a svolgere al meglio il loro lavoro, si tolleravano errori e si passava sopra a tante azioni, proprie e altrui. Si creavano segreti, e se ne mantenevano altri”. Balene bianche è quasi naturalista nel cercare di imprimere a fondo la natura di NYC e dei suoi abitanti solo che Richard Price riesce a non perdere il senso dell’ironia e soprattutto l’innata predisposizione ai dialoghi, dove resta insuperabile. Sono le voci a dettare il ritmo (incalzante), a sottolineare il carattere cosmopolita della città, a rendere il senso del caos, fino all’ultima pagina, quando Balene bianche trova una conclusione amara, tagliente, perfetta in un’inquadratura che, da sola, rende l’idea di un grande romanzo dei nostri tempi.

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