mercoledì 2 dicembre 2015

Raymond Carver

Vuoi star zitta, per favore? è lo spartiacque imprescindibile nella vita e nella carriera di Raymond Carver. E’ la prima antologia di racconti curata da Gordon Lish che ne selezionerà e ne rielaborerà ventidue, pescandoli da una quarantina tra quelli fin lì scritti e proposti da Carver. E’ il 1976 e nel risvolto originale di Vuoi star zitta per favore?, si legge, tra l’altro: “La volgarità dei nostri destini segnati ascende a una sorta di trionfo, una piccola ma sontuosa vittoria sulle circostanze”. In quel momento le contingenze per Carver sono davvero precarie tra bancarotte, alcol e ancora alcol, famiglia e disastri assortiti. James Crumley che trasformerà Raymond e Maryann Carver in altrettanti personaggi in L’ultimo vero bacio lo ricordava così: “Ecco delle persone con una capacità di degradazione che non avevo mai incontrato, e sì che ho fatto una vita abbastanza dura, squattrinata e criminale. Volevo bene a Ray (Carver), ma era un uomo completamente privo di difese. Del tutto incapace di prendersi cura di sé”. La luce spettrale che circonda i protagonisti di Vuoi star zitta, per favore?, che sia stata frutto del bisturi di Gordon Lish o dell’intuizione di Raymond Carver (il dilemma ormai è relativo) ha l’urgenza, l’immediatezza, anche una scarna concretezza e se è vero (come è vero) che i successivi racconti di Carver sono diventati di volta in volta più accurati e lirici, qui c’è il modello iniziale, la scossa primordiale, la scintilla. Di sicuro il meticoloso lavoro di Gordon Lish ha riorganizzato, distribuito e uniformato i riferimenti autobiografici: c’è sempre stata una parte non irrilevante dell’esperienza personale di Carver nei suoi racconti, ma Vuoi star zitta, per favore? attinge e rimanda a quel particolare periodo di transizione. Un momento in cui i Segnali sono inequivocabili, i Creditori bussano alla porta (e nelle aule dei tribunali), L’idea (quale che fosse) si stava sgretolando e i dialoghi si perdevano tra quelle due domande, Perché, tesoro mio? e Vuoi star zitta, per favore?, appunto. Il tenore è identificato dal protagonista di Sessanta acri, che “aveva la sensazione che fosse accaduto qualcosa di cruciale, la sensazione di aver fallito”. E’ quell’ombra, lo spettro della sconfitta, ad annodare insieme le short stories di Raymond Carver ed è così che lo leggeva anche Leonard Gardner, l’autore di Città amara: “Parliamo del tradimento degli affetti più cari, per debolezza o egoismo, o per altro ancora. Gente che non si prende a botte, ma compie questi tradimenti silenziosi che causano un dolore atroce”. Del resto, quando Vuoi star zitta, per favore?, Carver si stupì di come i suoi personaggi vennero considerati, come se avesse aperto una porta su una realtà sconosciuta ai più, ma che lui conosceva bene: “Questo paese è pieno di gente così. E’ brava gente. Gente che cerca di fare dal proprio meglio”. Il dubbio che non ci arrivi, che ci sia sempre l’imprevedibile avversità dietro l’angolo, che l’attrazione verso la Wrong Side Of The Road, per dirla con Tom Waits, risulti fatale, è l’elemento elettrico, magnetico che lascia stupiti ogni volta. Anche quando è nascosto o mimetizzato perché come scriveva Raymond Carver: “Mi piace quando nei racconti c’è un senso di minaccia. Credo che un po’ di minaccia sia una cosa che in un racconto ci sta bene. Tanto per cominciare, fa bene alla circolazione. Ci deve essere della tensione, il senso che qualcosa sta per accadere, che certe cose si sono messe in moto e non si possono fermare, altrimenti, il più delle volte, la storia semplicemente non ci sarà. Quello che crea tensione in un racconto è, in parte, il modo in cui le parole vengono concretamente collegate per formare l’azione visibile della storia. Ma creano tensione anche le cose vengono lasciate fuori, che sono implicite, il paesaggio che è appena sotto la tranquilla (ma a volte rotta e agitata) superficie del racconto”. Inesorabile.

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