domenica 25 ottobre 2015

Bobbie Ann Mason

Sam (diminutivo di Samantha) Hughes  è in viaggio verso Washington, dove vuole trovare il nome del padre, Dwayne, inciso sul granito nero e lucido del Vietnam Veterans Memorial. Con lei, su una macchina che ha visto tempi migliori, viaggiano Mamaw, la nonna ed Emmett, un reduce inseguito dai fantasmi di chi è rimasto Laggiù. Siamo nel 1984, quasi dieci anni dopo la la fine della guerra, e dalla radio, dopo Marvin Gaye e i Talking Heads, arriva Glory Days, perché è il momento di Born In The U.S.A. e, come dice Sam, “in America accade tutto qui, sulle strade”. Capita anche di scoprire che non c'è posto dove correre, non c'è posto dove andare, nemmeno dove nascondersi da “una sensazione di estraneità” perché Laggiù è, sì, sempre sottinteso il Vietnam, ma è anche Hopewell, Kentucky, una cittadina spersa in mezzo al nulla. Il contrasto con il drammatico lascito della guerra e il piccolo mondo antico dell'heartland, con la convinzione che quell'America è bella e buona (non l'altra), è l'inestricabile groviglio di sentimenti ed emozioni in cui è impigliata Sam. Nonostante il nome, a Hopewell nessuno ha risposte da darle. La vita silenziosa e monotona nella provincia non è sufficiente, non ha i mezzi per rispondere a quelle enormità. La speranza è solo che il tempo lenisca o cancelli le ferite. Non sarà così perché i reduci non hanno dove andare, vagano come fantasmi, trascinandosi dietro storie e ricordi (compreso l'incubo di essere stati contaminati dai defolianti usati dall'esercito americano, o dalla paura tout court) e insieme la voglia di dimenticarli e il bisogno di conservarli, perché quelli Laggiù erano giorni che hanno segnato “una linea di demarcazione, vita o morte”. Un altro veterano, Pete Simms, lo spiega molto bene a Sam: “E' una questione di intensità quello che abbiamo attraversato insieme”. Ciò non toglie che le sofferenze siano insopportabili e la sensazione che Emmett confessa a Sam è che “non puoi permetterti di restare in città quando pensi a quello che è successo”. Non ha tutti i torti: il viaggio a Washington, che è il segmento iniziale e quello finale di Laggiù, è il tentativo di fuggire dall'immobilità di Hopewell, dove la connessione con il resto del mondo, e volendo la sua comprensione, avviene attraverso la televisione, che è il vero contrappunto della vita reale. L'avvento di MTV, soprattutto nello stile surreale dei primi videoclip (dove succedeva di tutto) genera una certa confusione, se non altro una sorta di miraggio. “Questi video di MTV sono vere stronzate”, scrive Bobbie Ann Mason. Ancora adesso, soltanto che in quello di Dancing In The Dark, citato a più riprese, la mano tesa da Bruce Springsteen in mezzo al pubblico coincide con la mano che aspetta Sam per riuscire a conoscere il padre, che è morto Laggiù, in Vietnam, e per comprendere anche se stessa. Sullo schermo, la parvenza dell'immagine, mostra tutta la sua evanescenza, la sua fallibilità. Laggiù è un riflesso proprio come Born In The U.S.A., e in quanto tale, facile a contraddirsi e a sfumare nel dettaglio, luccicante in superficie, malinconico e spettrale una volta spente le luci, ed è così che anche Bobbie Ann Mason si ritrova Laggiù, a ballare nel buio.

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