martedì 8 settembre 2015

Edgar Allan Poe

Il corvo, con quegli occhi che sono quelli di un demonio che ora sogna”, rimane una delle allegorie più potenti e inquietanti che si siano mai elevate dalle pagine della letteratura. Al di là dell'aspetto fantastico e gotico, ormai ben noti, quello di Edgard Allan Poe è uno sguardo comunque coraggioso e temerario che ha portato un raffinato ed evoluto narratore come E. L. Doctorow a definirlo “sovversivo”. Il riconoscimento, quanto mai appropriato, parte dalla forma, la poesia, la sua brevità, l'essenza stessa della scrittura. Edgar Allan Poe scriveva presentando i racconti di Nathaniel Hawthorne: “Se fossimo costretti a dichiarare quale sia la maniera più proficua in cui il genio superiore possa dare una dimostrazione delle sue facoltà, senza esitare risponderemmo: nella composizione di una poesia in rima che non superi in lunghezza quel che si potrebbe leggere in un'ora. Il grado più elevato di poesia può esistere esclusivamente all'interno di questi limiti”. Il corvo risponde a questo dettato estrapolando “un sapere remoto” da una limitatissima porzione di spazio e e di tempo e “su fondali violacei e verdastri, dove si manifestano la fosforescenza della putrefazione e l'odore della tempesta”, come li descriveva Charles Baudelaire, riesce a stagliare un'opera densa, sanguigna e spiritata. La delimitazione diventa funzionale così com'era nelle intenzioni di Edgar Allan Poe: “Mi è sempre sembrato che una precisa circoscrizione dello spazio sia assolutamente necessaria all'effetto di un avvenimento isolato: essa ha l'efficacia di una cornice per un quadro. Essa possiede un indiscutibile potere nel mantenere concentrata l'attenzione e, naturalmente, non deve essere confusa con la semplice unità di luogo”. La dimensione è quella del sogno, quello che emerge dal buio e nella notte e da lì, più in rilievo, la propaggine logica e naturale della solitudine. O viceversa: Edgar Allan Poe non nasconde, come scrive in Eulalie, di vivere in “un mondo d'affanni” e che tutti i suoi giorni “son delirio” (lo dice in Per qualcuno in paradiso). Trasmettere l'angoscia non è una missione indolore e Il corvo è la cronaca di una fuga verso un universo parallelo da cui non si può fuggire: Un sogno in un sogno, concetto ribadito in Ulalume (Tutto quel che vediamo o sembriamo è un sogno in un sogno soltanto”) e che riporta verso La valle dell'inquietudine dove “non v'è nulla che immobile resti se non l'aria che resta sospesa sulla sua solitudine magica”. Non c'è scampo, l'unico appello è quello Alla scienza, “in cerca di riparo” ed è l'ultima spiaggia, l'unico appiglio razionale, più per dovere che per altro. In effetti, aveva ragione Lou Reed: “Di certo Edgar Allan Poe è il più classico degli scrittori americani, uno scrittore paradossalmente più in sintonia col battito cardiaco del nostro secolo appena nato di quanto lo sia mai stato con quello proprio. Ossessioni, paranoie e azioni deliberatamente autodistruttive ci circondano da ogni parte. Anche invecchiando, continuiamo a sentire le urla di coloro per i quali il fascino di un caos luttuoso è irresistibile”. Le ombre che galleggiano, le foreste e le tenebre, le parole d'addio, gli odori e i dolori sono qualcosa che si snoda dalla dimensione poetica verso quella profetica. Un avvertimento, molto preciso.

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