domenica 7 giugno 2015

Theodore Dreiser

Frutto di un'interessante estrapolazione dall'autobiografia di Theodore Dreiser (che merita di essere riletta per intero), Meravigliosa Chicago è composto da tre diversi momenti a cavallo della fine del diciannovesimo secolo. L'assemblaggio ha tutta una sua accuratezza perché asseconda la radicale trasformazione della città e la relativa percezione. Nella fase iniziale, quella di Ho visto nascere la meravigliosa Chicago, Theodore Dreiser è travolto da una “strana illusione di speranze e felicità” che coincide con l'evoluzione urbana. All'inizio Chicago, “una città nuova e grande, totalmente elettrizzante e che traboccava di opportunità”, è una scoperta piena di meraviglie, l'incarnazione stessa di terre promesse e ambizioni e miraggi che l'acerbo Theodore Dreiser si ritrova incantato ad ammirare dalla sua finestra sul nuovo mondo: “Affascinato, restavo per ore a guardare il teatro dall'altra parte della vita, il parco nella strada vicina oppure, sporgendomi da una delle nostre finestre, il panorama dietro la nostra casa. Tutto era così diverso da quanto avessi mai visto o conosciuto in precedenza”. Theodore Dreiser scopre in Chicago “una combinazione di speranza e gioia di vivere, intensa speranza e intensa gioia. Le città, come gli individui, possono essere illuminate dalla grande luce della speranza. Possiedono quel miracolo, quel carattere, che come succede per le persone, è sempre così affascinante da lasciare a bocca aperta”. La consapevolezza che la vita cittadina influenzi e determini quella degli uomini, è maturata attraverso le vicende famigliari prima, tra tutte, la figura tormentata del padre, al punto che Theodore Dreiser già intuisce che “la città della quale ora sto per scrivere, non è mai esistita su terra o mare; se ogni tanto potrà sembrare avere i contorni della realtà, non saranno altro che le ombre proiettate da una gloria che allora era tutta nella mia testa”. Quando verrà il momento del Ritorno a Chicago, la città è già trasformata. Theodore Dreiser è convinto di cantare “un paese nuovo, una vita nuova” mentre la città si è già deformata in una metropoli. Anni dopo, Sherwood Anderson scriverà nei Canti del Mid-America: “Siamo qui, qui fuori a Chicago. Pensi che non siamo umili? Sei un bugiardo. Siamo come la fognatura della nostra città, spazzati a monte della corrente con un certo trionfo meccanico, questo è ciò che siamo”. Theodore Dreiser lo comprende già nell'ultima parte, Lavorando come venditore ambulante a Chicago, dove delinea senza esitazioni il lato oscuro della città: “Credo davvero che il peggio dei bassifondi del mondo fosse lì. Inoltre, la città era stata in origine costruita in modo talmente sommario che le vaste aree occupate da logore case di legno erano già, dopo soli pochi anni, cadute nella più completa rovina”. La conclusione di Meravigliosa Chicago, per quanto moraleggiante, è l'amara constatazione che “la vita è un gioco di chi mangia per primo e, quando non vi sia una forza che le si opponga dall'interno, appare guidata da un proposito di rendere il mondo una specie di giungla”. La metafora tropicale non è un caso: sarebbe poi diventata il titolo del grande romanzo di Upton Sinclair, testimonianza ineludibile di una Chicago che ormai non era più così meravigliosa.

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