giovedì 21 maggio 2015

Don DeLillo

E' proprio vero, come scrive Martin Amis, che “i grandi scrittori come Don DeLillo possono portarci dove vogliono, ma la metà delle volte ci portano dove non vogliamo andare”. Vale in modo specifico per L'angelo Esmeralda, una raccolta antologica di racconti e di frammenti eterogenei nella composizione e nell'origine che attraversa due secoli, partendo nel 1979 da Creazione e arrivando al 2011 con La Denutrita. E' l'underworld di Don DeLillo, un work in progress che si dipana in una serie di flash, di istantanee, senza mediazioni, inseguendo l'assurdità delle parole, l'espressione in simboli e vocaboli che evocano mutazioni repentine, crisi, caos. E' sempre una scrittura enigmatica, a volte criptica, non sempre (quasi mai) agevole, eppure anche se nel loro evidente, incompiuto formato non possono competere con la geometria maniacale dei suoi romanzi, le storie comprese da L'angelo Esmeralda portano sempre su una frontiera indefinita, che sia quella dei terminal aeroportuali in Il corridore così come la terra di nessuno nelle aree metropolitane senza legge e senza giustizia nel racconto che offre il titolo della raccolta. E' dentro queste cornici che si materializzano i personaggi di Don DeLillo: la coppia querula in La mezzanotte in Dostoevskij che ammette la vacuità del virus del linguaggio, confessando candidamente che “meno le nostre discussioni erano profonde, più ci infervoravamo” o l'uomo che andava al cinema in La Denutrita, ipnotizzato dal cinema e dal buio perché “qualunque luna di inquietudine e malinconia alegiasse sulla sua esperienza, recente o lontana, quello era il luogo in cui tutto aveva la possibilità di evaporare”. Più di tutti è Vollmer, lo specialista che non è specializzato in niente in Momenti di umanità nella terza guerra mondiale. Il confine su cui deve resistere è quello che gli offre la prospettiva migliore, essendo in orbita attorno alla terra, e allora ricorda che “tutte le guerre rimandano al passato. Navi, aerei, intere operazioni prendono il nome da vecchie battaglie, armi più rudimentali, da quelli che noi percepiamo come scontri nati da più nobili intenti” e che “la guerra è una forma di nostalgia”. Se non è la guerra, è un'evoluzione del conflitto, della frattura tra una “realtà ingovernabile” e la crescente frustrazione di persone che “speravano di ritrovarsi coinvolte in qualcosa di più grande di loro”, e rimangono lì in un limbo di voci afone. Forse Don DeLillo si identifica proprio con il protagonista di Momenti di umanità nella terza guerra mondiale, un osservatore lontano, a cui piace che “le parole abbiano una certa reticenza, che rimangano aggrappate a un punto scuro nel più profondo dell'interiorità”. Possono sembrare incipit o interminabili finali di romanzi (il claustrofobico Baader-Meinhof, più di tutti), con una complessità tale da suggerire l'esistenza di romanzi dalle dimensioni di Rumore bianco o Underworld, ma il leitmotiv di questi racconti è sempre una dimensione onirica, psichedelica o comunque distaccata dalla realtà, una separazione necessaria per quel “lavoro massacrante” che è riflettere. Non sempre è il desiderio più urgente, anche se resta il più necessario.

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