lunedì 16 febbraio 2015

Kurt Vonnegut

Se c’è stato un libero pensatore sul finire ventesimo secolo, è proprio lui, Kurt Vonnegut. Nei suoi discorsi ai laureati, in un bel pezzo di storia americana che va dal 1978 al 2004, allinea preoccupazioni e idee (parecchie) senza perdere un filo della sua caustica ironia. Le sue iperboli e le sue esortazioni rispecchiano una verve inimitabile: temi e frasi si ripetono e si rincorrono (anche se è curioso andare a spulciare le sottili variazioni in corso d’opera) e comunque Kurt Vonnegut si conferma un oratore arguto e frizzante, non molto diverso dallo scrittore, sempre ispirato e senza tante remore nel dire ciò che pensa. Lo spiega nel dettaglio anche Dan Wakefield nell’introduzione a Quando siete felici, fateci caso: “Nel suo modo di parlare e di scrivere, Vonnegut riusciva sempre a tirare fuori le parole e le espressioni schiette che la gente pensava ma non diceva, le idee che esprimevano sensazioni intime, che facevano vacillare i preconcetti e spingevano il lettore a guardare le cose da un’angolazione diversa. Era quello che puntava il dito sulla questione fondamentale di cui nessuno parlava, quello che vedeva che il re era nudo”. Per essere americano, e in America, e nello specifico tra le mura degli ambienti accademici, tradizionalisti e conservatori per definizione, non è poco, anzi. Kurt Vonnegut è esplicito, senza freni, limiti o censure: “Eccola, in breve, la mia posizione politica: smettiamo di dare alle multinazionali e alle diavolerie moderne ciò di cui hanno bisogno, e ricominciamo a dare a noi esseri umani ciò di cui abbiamo bisogno”. Quando si tratta di affrontare gli spettri e gli abusi casalinghi, che si chiamino Richard Nixon o George Bush, Kurt Vonnegut usa la sciabola, che poi è quello che ci vuole: “Non c’è la minima speranza che l’America possa diventare generosa e ragionevole. Perché il potere ci corrompe, e il potere assoluto ci corrompe nella maniera più assoluta”. En passant, tra un aneddoto e l’altro, perché ci tiene sempre a strappare un sorriso, cita Edward Gibbon (“La storia, di fatto, è poco più che la cronaca dei crimini, delle follie e delle disgrazie dell’umanità”), regala una sintesi memorabile della storia (e del senso ultimo) del blues, racconta di quando ha fumato con Jerry Garcia, elenca i suoi eroi (letterari), tra cui Carl Sandburg e Edgar Lee Masters. Convinto che “uno scrittore è innanzitutto un insegnante”, Kurt Vonnegut infila sempre qualche utile suggerimento: “Praticare un’arte, non importa a quale livello di consapevolezza tecnica, è un modo per far crescere la propria anima, accidenti. Cantate sotto la doccia. Ballate ascoltando la radio. Raccontate storie”. Se scegliete l’ultima opzione, bisogna rispettare la regola numero uno (e quanto pare, l’unica): “Non usate il punto e virgola. E’ un ermafrodito travestito che non rappresenta assolutamente nulla. Dimostra soltanto che avete fatto l’università”. L’augurio finale è squillante, come si conviene, prima di rompere le righe: “C’è un sacco di pulizia da fare. C’è un sacco di ricostruzione da fare, sia a livello spirituale che materiale. E, ripeto, ci sarà un sacco di felicità. Mi raccomando, rendetevene conto!”. Ci proveremo.

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