mercoledì 4 febbraio 2015

Henry Miller

L’idea fondamentale per comprendere a fondo Opus Pistorum e con ogni probabilità di gran parte dell’opera di Henry Miller l’ha spiegata lui stesso in un'intervista a Robert Snyder citata nella postfazione di Fernanda Pivano: “La ragione per cui ho parlato tanto del perverso, del brutto, dell'immorale e del crudele è che volevo si sapesse quanto importanti siano queste cose: importanti almeno quanto il bene. In realtà non ho fatto che riprendere l’idea dell’accettazione sostenuta da Walt Whitman”. L'accostamento al bardo di Foglie d’erba è tutto meno che profano perché in effetti tutti i romanzi di Henry Miller sono una sorta di inno alla libertà d’espressione, prima ancora che alla libertà sessuale. Una sorta di estensione letteraria (infinita) del primo emendamento della costituzione americana. Lo stesso Opus Pistorum, nel suo travagliato cammino di incesti, fellatio, orge e depravazioni è uno straordinario atto di coraggio che vede nel sesso lo strumento liberatorio per eccellenza, la lente attraverso cui è possibile vedere e tenere viva “quella piccola scintilla di coscienza”, come la chiama lo stesso Henry Miller. Parigi è la città perfetta per John Thursday o Jean Jeudi o Gian Giovedì (dipende dalla lingua che si vuole usare) che è un protagonista irrequieto e poco malleabile, sempre pronto a ficcarsi nei guai, anche più di Henry Miller. L’espressione della joy de vivre è rutilante, all’ultimo spasmo, eppure velata dalla consapevolezza che “viviamo in una terra di fantasmi. Il mondo è mezzo morto prima di nascere. La gente sta a cavalcioni della sua vita con un piede nella fossa e l’altro ancora infilato nell’utero”. Pagato dal suo amico libraio Milton Luboviski, un dollaro a pagina (e una volta giunto in fondo, Henry Miller gli disse: “Ecco la fine del libro. Spero che tu ci guadagni tanto da pagarti l’affitto per qualche mese), Opus Pistorum è una cavalcata erotica, folle e senza freni, tanto da lasciare attonito anche Henry Miller: “Io mi prendo la testa fra le mani. Non c’è più religione. Non c’è più serietà. La cosa mi è completamente sfuggita di mano”. Si capisce, così come sarebbe logico, a questo punto, ricordare ancora una volta i processi e le censure che ha subito (e non solo per Opus Pistorum) nonché le prese di posizione in suo favore (da Saul Bellow a Ezra Pound, da Bernard Malamud a William Styron), ma sarebbe un argomento degno di un intero saggio. Paradossalmente, le reazioni isteriche delle accademie e delle istituzioni, che oggi si traducono nell’indifferenza più totale, hanno avvalorato ancora di più la sua opera e anche “una particella, una bizzarria di giovinezza” come Opus Pistorum (la definizione è di Fernanda Pivano) assume i contorni di un romanzo dall’espressività incontrollata, caotica, geniale ed estremamente vitale. “Qualunque cosa sia il sesso è dall’altra parte del muro” scriveva Norman Mailer a proposito dell’ossessione di Henry Miller e non è un mistero che Opus Pistorum sia un piccolo foro che ne coglie tutta l’energia, la follia, la crudeltà e, in fondo, la bellezza.

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