sabato 27 dicembre 2014

T. C. Boyle

Gli amici degli animali si contendono la difesa dei fragili ecosistemi delle Channels Islands, al largo della California. Dave LaJoy è un attivista antipatico e insopportabile, ma è nel giusto perché si fa guidare da un solo comandamento: non uccidere. Alma è politically correct, ma nei suoi interventi di conservazione e/o ripristino c’è l’ambiguità della supponenza di poter decidere il destino degli eventi naturali con strumenti artificiali, se non proprio artificiosi. Il contrasto emotivo tra i protagonisti pare una semplificazione, ma l’ordine delle cose non è così: c’è molta della condizione isterica del nostro mondo che Gli amici degli animali interpretano, come se i tentativi, opposti e speculari,  con cui cercano di ripristinare il caos appartengano più ad una dimensione empirica che scientifica, amplificata dalla particolare cornice insulare e marina. Come scriveva Judith Schalansky nel bellissimo Atlante delle isole remote: “L’isola appare un mondo sé stante, ancora allo stato naturale originario, come il paradiso prima del peccato originale, impudico ma innocente”. L’introduzione naturale o artificiale (quale che essa sia) di una specie, implica il rischio, l’eventualità, più che probabile, di una trasformazione repentina della vita, di un ribaltamento della catena alimentare. E’ la storia (vera) del boiga irregularis, che introduce il tema corrente tra Gli amici degli animali: è una bella creatura di tre metri che, arrivata in modo fortuito sull’isola di Guam, si è moltiplicata per tre milioni e mezzo di esemplari, trasformando l’isola in un nido di serpenti. Il dilemma della sovrappopolazione e della convivenza (e della sopravvivenz)a di forme di vita diverse sullo stesso, limitato pianeta è il nocciolo degli scontri che Gli amici degli animali sovrappongono a battaglie di ego insaziabili. E’ una storia dei nostri giorni, una storia paradossale, volendo, che racconta i pericolosi malintesi che si accumulano nel convulso rapporto tra l’uomo e la natura (o il suo consumo). L’idea al centro del corto circuito, che il genere umano possa decidere di vita o morte su tutti, si rivela in modo diverso e drammatico sia ad Alma che a Dave LaJoy e T. C. Boyle è molto lucido nel far capire che, in realtà, l’unico deus ex machina è il caso. Gli amici degli animali è avvincente nel ritmo, essenziale nella scrittura, molto pertinente e urgente nel rivelare le contorsioni del genere umano di fronte ai processi naturali, come se T. C. Boyle avesse letto La natura delle cose nel De Rerum Natura di Tito Lucrezio Caro: “Vediamo che la natura, nel dissolvere i corpi, libera i vari elementi ma non li distrugge: se no tutto potrebbe cessare all’istante di esistere se contenesse in se stesso qualche elemento mortale non occorrendo che giunga una forza a dividere le parti di cui si compone e a disfarne la trama”. Come diceva T. C. Boyle in un’intervista: “Io penso che tra 50 anni andrà a finire come raccontava Cormac McCarthy con La strada. Noi mangeremo tutto e quando non ci sarà più nulla, ci mangeremo l’un l’altro. Ma il mio piano, personalmente, è morire. Questo è come affronto la questione”. Non è l’unico omaggio a un grande scrittore che riserva T. C. Boyle: Gli amici degli animali cela anche un tributo per La fiera dei serpenti di Harry Crews utile a comprenderne il finale, beffardo e perfetto. 

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