giovedì 13 novembre 2014

Luci Tapahonso

Una delle voci più originali della letteratura nativa americana, Luci Tapahonso, sovrappone racconto e poesia, li alterna e li scambia lungo “il confine sottile di un miracolo”, il compromesso tra il navajo e l’inglese. Sono due vocabolari molto diversi, che tengono insieme “le fragili vite” e confluiscono in una lingua essenziale e scheletrica. Se a prima vista la scrittura raccolta in Sáanii Dahataał può apparire istintiva, se non addirittura naïf, c’è invece un sentimento solidissimo radicato nelle sue fondamenta. Le “vie dei canti” di Luci Tapahonso appartengono a una cultura offesa, minacciata, vessata e distrutta, ma che non è mai stata dimenticata e le sue liriche usano una lingua che sopravvive nel ricordo perché lo scopo trascende le pagine in cui è incastrata: “Per molte delle persone che, come me, risiedono lontano dalla propria terra, scrivere è il mezzo per tornare, per rinnovarsi e per riportare i nostri spiriti allo stato di hohzo, o bellezza, che rappresenta la base della filosofia navajo. E’ una piccola parte della cosa vera, ed è funzionale, ma, man mano che la cultura navajo cambia, noi ci adattiamo di conseguenza”. L’ossessione per le parole non deve nemmeno essere giustificata, anche se Luci Tapahonso si premura di precisarne la funzione e, va da sé, l’importanza: “Le parole generano bellezza, felicità, riso, calma come anche distruzione e morte, quindi fate attenzione al modo in cui le usate. In navajo diciamo che il sacro ha inizio sulla punta della lingua”. Sáanii Dahataał che è il modo migliore per aprire una porta a Luci Tapahonso parte proprio da lì, votato a “ordinare e riordinare con cura parole e pause che erompono come ricordi dal pieno respiro”, come scrive in Fuori da una piccola casa. E’ “un’irrequietezza innominabile”, quella che spinge con insistenza verso la memoria, una vocazione a collocare “un senso di eredità culturale come un senso della storia”, quasi a costruire un rifugio con le parole stesse. Succede in E’ notte in Oklahoma, una toccante poesia in cui i due protagonisti, in fuga dal dolore e dal gelo di avvolgono uno nell’altra e dicono: “qui dentro, noi respiriamo la pelle dell’altro, ci muoviamo per sentire il battito dei nostri polsi, e questa è l’unica rassicurazione delle nostre fragili vite”. Questo sfuggente equilibrio permea tutto Sáanii Dahataał, senza distinzione tra poesie, canzoni o racconti, ed è tra i motivi principali che rendono la scrittura di Luci Tapahonso così vivida e magnetica. Il confronto con un altro idioma, usato come uno strumento per saldare tante, diverse visioni non intacca la scintilla originale, che è evocata, fin dal titolo, in Ricorda le cose che ci hanno detto: “Ogni suono che facciamo evoca la potenza di questi venti e noi siamo, allo stesso tempo, miti e forti”. Il cuore, l’epicentro e la stella polare di Sáanii Dahataał sono proprio lì, e sembrano prodotti dall’eco tramandato nel tempo di un antico canto navajo: “Tutto quello che hai visto ricordalo, perché tutto quello che dimentichi torna a volare nel vento”. 

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