sabato 28 giugno 2014

Nic Pizzolatto

Quando si lascia alle spalle New Orleans, Big Country alias Roy Cady non ha più nulla da perdere. E’ un fuorilegge, la sua specialità è sempre stata il recupero crediti per conto terzi (i metodi si possono immaginare visto che stiamo parlando di vita nelle strade) solo che in fondo al suo cuore nero si accende sempre una scintilla di generosità. E’ un segnale di pericolo e lui lo sa perché “sono proprio quelli gli impulsi che ti fottono, che finiscono per farti pagare conti che non sono i tuoi”. Tutto comincia quando riesce a fuggire alla trappola che i suoi stessi colleghi gli hanno teso e i cui motivi rimangono misteriosi, ma avendo vissuto nell’oscurità tutta una vita, poco cambia. Sa solo che se vuole restare vivo deve andarsene, lontano, e non guardare indietro nemmeno per sbaglio. Big Country è tormentato dalla sua fuga e dal suo passato e, per una serie di coincidenze, si ritrova in viaggio con due bambine. Rocky e Tiffany. Rocky è una tentazione ambulante, ma è solo cresciuta male e in fretta. Tiffany è l’innocenza spuntata nel posto sbagliato. Big Country non ha molto da offrire a parte un posto sul suo pick-up e una strada davanti. Dentro si sé sente che quel viaggio potrebbe diventare un tentativo di redenzione, un modo per evitare un destino già scritto e Billy Joe Shaver, Loretta Lynn, Roy Orbison, Waylon Jennings, Hank Williams, Patsy Cline sentiti nelle cassette del suo pick-up o nei jukebox dei bar lungo la strada forniscono la colonna sonora ideale. Così, la fuga si rivela un road movie, un’odissea nella terra di nessuno tra Texas e Louisiana, ma la soluzione, l’happy end, non è lecito aspettarsela anche se a metà strada, è alimentata da una piccola speranza. Per un istante di qualche giorno vivono insieme in un penoso motel che sembra un capolinea per disperati, eccentrici e fuggiaschi. Big Country è tormentato dall’impulso di fare qualcosa e dalla certezza di non essere in grado, perché sa che non è stato nemmeno capace di badare a se stesso. La strada è impietosa, l’orizzonte brulica di sconfitte e fallimenti: se non è un paese per vecchi, figurarsi se può esserlo per due bambine senza una famiglia, e per un outsider senza radici come Big Country. Quando decide di chiudere con il passato, è troppo tardi, perché c’è sempre un passato che non passa mai e anche quando ormai tornato ha cambiato nome e indirizzo se lo sente ancora addosso: “Sei qui tanto per stare da qualche parte. I cani ansimano per le strade. La birra non rimane fredda. L’ultima canzone che ti è piaciuta è uscita un mucchio di tempo fa, e la radio ormai non la trasmette più”. Con Galveston, Nic Pizzolatto si rivela una narratore pratico e coinvolgente, capace di tratteggiare le forme umane che si dipanano nella polvere e nelle ombre senza perdersi in complicate divagazioni. Lo stile è essenziale e concreto quanto basta, il ritmo è sempre serrato e sincopato, anche nei momenti più crepuscolari, senza aver bisogno di colpi di scena a ripetizione e con una dose di sano realisimo che non guasta mai. Ad oggi, il miglior allievo di James Lee Burke.

2 commenti:

  1. È strano. Ho scoperto il tuo blog ieri sera e proprio oggi mi chiedevo, ripensandoci, come mai non avevi ancora parlato di Galveston. Entro ora, ed ecco qua.
    Beh, che caso.
    Complimenti per la trasmissione: prima o poi spero di leggere tutte le tue recensioni e, ovviamente, tutti i libri che non ho ancora letto.

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