lunedì 26 maggio 2014

Charles Baxter

L’amore è una tavola imbandita che non trova ospiti perché “in verità ci sono solo due realtà: quella della gente innamorata o che si ama e quella di tutti gli altri che ne stanno fuori”. E’ il soggetto di Festa d’amore, il dipinto più rappresentativo di Bradley Smith, uno dei principali protagonisti, il cui significato recondito, ma non troppo, aleggia su tutto il romanzo. Chloé Barlow e Oscar Metzger, Harry ed Esther Ginsberg e poi Bradley Smith e la geometria variabile delle sue relazioni, prima Kathryn, poi Diana e infine Margaret, vivono tutti l’amore in modo diverso, cercando di comprenderlo attraverso il sesso, la pazienza, il silenzio, la volontà, sempre sull’orlo del fallimento visto che “non puoi dettare a te stesso ciò che vuoi. Una cosa o la desideri o non la desideri”. Si rincorrono come se stessero circumnavigando all’infinito lo stesso paio di isolati deviando soltanto in occasione degli angoli, verso destinazioni impreviste. Il paesaggio è la realtà suburbana della provincia che Charles Baxter dimostra di conoscere alla perfezione come un Richard Ford un po’ acido, un Raymond Carver meno crudo, un John Cheever senza whiskey, un Richard Yates più sereno. La forma colloquiale per raccontare la sua Festa d’amore si traduce in un modo molto lineare e pulito di impostare il linguaggio, mentre il racconto segue traiettorie imprevedibili perché come dice Charles Baxter “mi piace fare smarrire il lettore. La forma narrativa standard che va da un punto A a un punto B non mi interessa”. Anche se i personaggi sono molto attinenti alla realtà della storia, Festa d’amore si sviluppa circondato da un’aura insonne come se fosse un sogno di una notte di mezza estate. Charles Baxter porta i personaggi dentro spazi e sprazzi onirici, interpretati da pittoresche figure femminili, in particolare la cartomante Maggaroulian e la signora Watkins che vive nei boschi, circondata da bambini di gesso. Hanno sempre il compito di imprimere alla storia una svolta o di indicare una breccia come dice lo stesso Charles Baxter: “Spesso sono i pazzi a vedere la felicità e io sono sempre più interessato ai matti, a quelli che, tolti gli ormeggi, riescono ad avere visioni luminose sul futuro”. E’ per questo che Festa d’amore alterna la sua voce a quella dei personaggi (Bradley Smith è il più costante) nel raccontare le storie (d’amore) e non sempre è facile seguire il sottile filo che le unisce, che è quello “della felicità e della possibilità o meno di esservi inclusi”. Forse la felicità non coincide proprio con una Festa d’amore, ma almeno è un’alternativa alla “triviale infelicità”, che Charles Baxter cerca di evitare applicandosi con grande fervore alla sua principale occupazione: “Essere uno scrittore ti fa vivere bene. Non c’è routine nel pensare all’idea di un libro. Sarebbe come se una donna descrivesse la propria partecipazione a un parto. Il giorno ideale per me è questo: svegliarsi, fare colazione, scrivere, pranzare, passeggiare, schiacciare un pisolino, bere del vino, fare l’amore, dormire”. Bel programma, sempre valido.

Nessun commento:

Posta un commento