giovedì 20 febbraio 2014

James Baldwin

Harlem, 1930: nel ghetto l’intreccio delle vite è prepotente, un senso permanente di minaccia gonfia l’aria, ognuno ha una sua preghiera per arrivare alla fine del giorno e per superare la notte, per resistere all’inferno in terra e sperare nel paradiso in cielo e così “gli uomini hanno parlato di come il cuore si spezza, ma non hanno mai parlato di come l’anima resta sospesa, muta, nella pausa, nel vuoto terrificante tra la vita e la morte; di come, strappati e gettati via tutti gli abiti, l’anima entra nuda nella bocca dell’inferno. Una volta entrati non si esce più: una volta dentro, l’anima si ricorda, anche se il cuore qualche volta dimentica. Perché il mondo si rivolge al cuore, che balbettando risponde; la vita, e l’amore, i piaceri e, più falsamente, la speranza, chiamano l’immemore cuore dell’uomo. Solo l’anima, ossessionata dal cammino percorso e da quello ancora da percorrere, persegue il suo misterioso e terribile fine; e trascina con sé il cuore, gonfio di pianto e di amarezza”. Nel campionamento umano di Gridalo forte finiscono due coppie di fratelli, due matrimoni, due donne, tutti incastrati in un oscuro triangolo perché c’è qualcosa di geometrico nei modi con cui tutti cercando di nascondere le proprie ombre o, infine, di rivelarle. La capacità di James Baldwin di interpretare la distanza minima tra bene e male, quasi di visualizzarne la percezione, è il cuore ricco, denso, fluttuante di Gridalo forte e la forza dei suoi protagonisti lo rende un classico. Gabriel, il predicatore che nasconde i suoi demoni in omelie spiritate e contorte e poi ricorda che “fuggiva nella notte stellata e camminava finché arrivava a una taverna, o a una casa che aveva già adocchiato nella lunga giornata della sua libidine. E lì beveva finché sentiva dei martelli risuonare nella sua testa annebbiata; malediceva gli amici e i nemici, e faceva a botte finché non scorreva il sangue; la mattina si ritrovava nel fango, nella terra, in letti sconosciuti, e una o due volte in prigione; con la bocca impastata, i vestiti stracciati, emanando da tutto se stesso il fetore della corruzione. Allora non riusciva nemmeno a piangere. Nemmeno a pregare. Desiderava quasi la morte, l’unica cosa che potesse liberarlo dalla crudeltà delle sue catene”. I sermoni non bastano a mascherare la verità perché “essere un predicatore non ha mai impedito a nessun negro di fare le sue porcherie”. Questo lo dice la sorella Florence, già sposata a Frank, che beve, canta i blues e muore in Francia, dove la guerra non ascolta né i canti né le preghiere. Con Florence ci sono Deborah, Elisabeth, Esther e James Baldwin trova la svolta giusta, anche all’interno di una condizione drammatica, di spiegare che “su tutte le donne pesava, fin dalla culla, una maledizione; in un modo o nell’altro, tutte vittime dello stesso crudele destino: essere nate per sopportare il peso degli uomini”. Dei padri e dei figli che qui hanno il nome di Roy, Elisha e John (soprattutto), l’unico che, non senza dolore, saprà distinguere la realtà del peccato dalle sue evocazioni. Rivelatorio.

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