giovedì 5 dicembre 2013

David Byrne

Come funziona la musica è destinato a cambiare in modo sostanziale quel luogo comune, ispirato da Frank Zappa, per cui scrivere di musica è bizzarro, inutile o addirittura dannoso. Prima di tutto perché David Byrne affronta l’argomento con il piglio del narratore e sapendo che “ci sono due conversazioni che si svolgono contemporaneamente: la storia e il modo in cui la storia viene raccontata”, riesce a restare in equilibrio, con un tono appassionato e nello stesso tempo molto efficace e articolato. Dipende anche dalla scelta di affidarsi a un linguaggio chiarissimo nella sua ricchezza, una scelta dovuta al fatto che “la semplicità è una sorta di trasparenza in cui leggere sfumature possono avere un effetto enorme. Quando tutto è visibile e pare banale, i dettagli assumono un significato più grande”. Per capire Come funziona la musica David Byrne parte dal definire quello che chiama, più di una volta, “il contesto”, ovvero le condizioni che determinano la percezione della musica. La sintesi, in breve, potrebbe stare tutta in questo passaggio: “La musica è forma da onde sonore che captiamo in momenti e luoghi specifici; sopraggiungono, le percepiamo e poi spariscono. L’esperienza della musica non consiste semplicemente in queste onde sonore, ma altresì nel contesto in cui si generano. Molti credono che ci sia una qualche misteriosa qualità insita nella grande arte, e che ci sia questa sostanza invisibile a suscitare in noi una reazione tanto profonda. Questa entità ineffabile non è ancora stata identificata, ma sappiamo che le forze sociali, storiche, economiche e psicologiche influenza le nostre reazioni tanto quanto l’opera stessa. L’arte non può esistere nell’isolamento. E tra tutte le arti la musica, essendo effimera, è la più prossima a essere un’esperienza più che un oggetto: è legata al luogo in cui l’hai ascoltata, a quanto l’hai pagata e a chi era con te in quel momento”. Da lì si arriva nella seconda metà di Come funziona la musica e l’apparato teorico e filosofico lascia campo libero a considerazioni più concrete e prosaiche che riguardano la produzione della musica. Sono altrettanto pertinenti e interessanti perché l’analisi dell’industria discografica e dello show business in generale è impietosa, documentata e sperimentata in prima persona, eppure non è priva di speranza, alla fine perché di David Byrne rimane convinto che “sono la musica e il testo a suscitare l’emozione dentro di noi, e non il contrario. Non siamo noi a fare la musica, è la musica a fare noi”. A David Byrne la prima volta capitò molto tempo fa ed è cangiante il suo ritratto del CBGB’s e del “contesto” in cui si è sviluppata un’intera scena musicale ovvero la logica di un quartiere, del tempo e degli spazi che allora hanno permesso alla musica dei Talking Heads (e di Ramones, Television, Patti Smith e Mink DeVille) di sopravvivere. E’ laggiù che “ogni sera quei promemoria sonori ci ricordavamo da dove arrivavamo, dove eravamo in quel momento e dove eravamo diretti”. E’ così che funziona la musica.

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