lunedì 7 ottobre 2013

John Fante

I due brevissimi racconti, qui accoppiati, ruotano attorno ai perimetri di altrettante case nelle valli californiane e John Fante, si sa, è un architetto d’interni molto abile ed efficace nel ricostruire le dimensioni e l’atmosfera della vita tra le mura domestiche. I rapporti famigliari, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, rendono le cucine, i soggiorni, le camere da letto dei veri e propri campi minati a cui non c’è trasloco che possa porre rimedio perché certe ossessioni rimangono sempre nel bagaglio. Il caso dello scrittore tormentato è da manuale: una coppia crede di aver trovato il suo nido ideale, anche perché ammette il protagonista “eravamo stanchi di cercare, il prezzo era alla nostra portata, e a me il posto piaceva pure”. Il problema è che i precedenti proprietari ormai sono fantasmi che vagano per i corridoi e sulle scale e la felicità rimane legate all’impressione iniziale, come riconosce lo scrittore tormentato: “C’era sole, spazio, aria fresca. Qui, pensavo, c’è la pace; qui mi verranno le parole e le pagine cresceranno una dopo l’altra. E cominciai a credere a quello che avevo detto fin dal primo momento: che quella casa l’avessi davvero già vista nei miei sogni. Le parole non vennero, e nemmeno le idee. Vennero invece i pittori, e i falegnami, perché mia moglie voleva cambiare la casa dentro e fuori, per cancellare ogni traccia del passato”. I guai degli spettri sono relativi rispetto a quello che possono fare gli esseri viventi e infatti quando il padre comincia a invitare gli amici (muratori come lui) a godersi la cantina l’idillio immobiliare svanisce, e non solo quello. Lo scrittore si trova spaesato, straniero e in esilio nella sua stessa casa (“La mia serenità subì gravi intrusioni. Non riuscivo a scrivere”) e come se non bastasse il trambusto che gli organizza un giorno sì e l’altro pure, il padre  lo smimuisce senza pietà: “Quello me lo chiami lavoro, la roba che scrivi?”, e il sogno di un posto dove poter stare evapora per sempre. E’ facile immaginare come finisce Il caso dello scrittore tormentato che John Fante spiega così: “Per gli scrittori, sonno e prosa vanno insieme. Se ti viene l’ispirazione, se le pagine funzionano, le notti sono serene. Se mancano le parole, non si dorme. E quello era un periodo così. Non riuscivo a dormire”. Per inciso, il padre di Il caso dello scrittore tormentato non è molto diverso da quello di Sogno di mamma: entrambi non hanno “praticato la tenerezza” e la loro misantropia non è negoziabile. La vita imposta dal capofamiglia in Sogno di mamma dipende, più di tutto, dalla qualità della preparazione dei peperoni, che vuole cotti e cucinati alla perfezione, per cui il giorno che torna a casa e li trova bruciati si aprono le porte dell’apocalisse e tutto un mondo viene giù. John Fante è straordinario nel mettere in cornice le scene fondamentali e anche relegato nell’ambito ridotto delle short stories riesce a illuminare due perle grezze come Il caso dello scrittore tormentato e Sogno di mamma. Da riscoprire.

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