martedì 17 settembre 2013

Percival Everett

In Ferito, Percival Everett sceglie il ranch di John Hunt come un crocevia singolare in cui si intersecano vecchie e nuove tensioni americane, un luogo in cui la magia naturale (animali compresi) si annoda alle forme incompiute e inconsulte della violenza degli esseri umani, i rigori e le difficoltà del paesaggio e le perversioni razziste e omofobe. Anche se Percival Everett sveglie un tono informale, Ferito si sviluppa in modo esponenziale, una spirale che si snoda velocissima, tagliente, per giungere a un finale crudele e amaro perché in fondo la frontiera è proprio così. John Hunt si è insediato a Highland, Wyoming ad allevare ed educare cavalli. E’ nero, colto, appassionato e risoluto e non è capitato laggiù per errore, anche se sa deve e dovrà lottare tutti i giorni per sentirsi a casa: “Non provavo necessariamente affetto per la storia di questa gente e certo non per il mitico West, il West che non era mai esistito. Ma era diventata la mia terra. E forse era proprio questo l’effetto che aveva questa terra su quelli che avevano scelto di viverci”. Il suo ranch è isolato, il luogo ha una sua ruvida e impervia bellezza e Highland “è un paesino normale. Quasi tutti bianchi. Gli indiani sono trattati di merda. Insomma, l’America”. L’ambiente è ostile e può solo peggiorare: quando Wallace, un giovane aiutante di John Hunt scompare e viene trovato ucciso, il confine tra l’ignoranza e la brutalità viene varcato per sempre. Nel ranch Wallace non godeva di grande popolarità, mettiamola così, perché nonostante l’impegno, la vita tra i cavalli e la prateria non era il suo destino. Wallace era gay e il suo presunto assassino, presto arrestato, viene trovato suicida in carcere. Fino a questo punto John Hunt rimane ai bordi della corrente feroce e violenta che serpeggia tra Highland e il suo ranch, ma è davvero Ferito quando scompare David, figlio di un vecchio amico e suo ospite. David era gay e viene trovato massacrato in modo orribile e senza senso. E’ allora che John Hunt, qualcosa del predatore è rimasto nel suo nome, rimarrà coinvolto nella scia di sangue perché “la frontiera è ovunque” ed è una linea sottile che unisce la vendetta e la giustizia. Ispirato, per stessa ammissione di Percival Everett, al caso di Matthew Shepard, un giovane gay ucciso brutalmente nel 1998 proprio nel Wyoming, Ferito è una coraggiosa cavalcata lungo i crinali più scoscesi delle fondamenta americane. Il West, la vita nella wilderness e l’idea stessa di frontiera sono stati troppo a lungo per giustificare l’ignoranza, la diffidenza e la prevaricazione nei confronti dell’altro solo perché indiano, nero, gay, straniero o comunque, in un modo o nell’altro, diverso. Lo si percepisce, nella sostanza di Ferito: salvo una flebile comprensione di se stessi e un’infinita stanchezza, Percival Everett non concede molto ai suoi personaggi e interpreti. L’unico essere vivente che John Hunt riesce a salvare è Emily: un piccolo cucciolo di coyote, accecato e mezzo carbonizzato a cui sono rimaste tre zampe, ormai simbolo, chissà, di un’umanità che non riesce a stare in piedi.

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