lunedì 22 luglio 2013

Ben Fountain

L’halftime è l’infinito intervallo tra i due tempi dei più importanti show sportivi. E’ un tempo di mezzo in cui può succedere di tutto, da un concerto di Bruce Springsteen & The E Street Band all’annuncio straordinario dell’inizio di una nuova guerra: un modo come un altro per tenere incollati decine e decine di milioni di spettatori televisivi in attesa che ricominci lo spettacolo, piazzando sponsor e stacchi pubblicitari uno dopo l’altro. Per l’halftime del Thanksgiving in un imprecisato anno dal 2003 in poi, oltre allo show delle Destiny’s Child, è prevista l’apparizione della squadra Bravo o di ciò che ne rimane: una sparuta pattuglia di soldati americani che qualche giorno prima è stata protagonista di uno scontro a fuoco, finito in modo fortuito su tutte le reti televisive. Li chiamano eroi e sono soltanto ragazzi, non hanno nemmeno vent’anni, che vengono catapultati dal sangue e dalla polvere dell’Iraq alle luminarie e agli ologrammi, all’eccitazione e all’illusione collettiva dell’halftime che non sono meno devastanti. La squadra Bravo è un totem, deve diventare un film, sarà un affare per tutti, una perfetta storia americana. Qualcosa non funziona come dovrebbe, c’è un eccesso di falsità nell’aria, un po’ troppo anche per un momento costruito dettaglio dopo dettaglio come l’halftime e il primo ad accorgersene è proprio Billy Lynn quando dice che “è molto meglio starsene laggiù a sparare e a far saltare in aria le cose piuttosto che gironzolare come comparse in una pessima sitcom”. La lapidaria constatazione è solo la miccia che sottolinea una tensione costante, a tratti insopportabile tanto è tagliente. Ben Fountain usa il ritmo frenetico della scrittura per riprodurre con una certa fedeltà l’iperattività, i luoghi comuni e l’atmosfera complessiva dell’America in guerra dopo l’11 settembre (2001). Se l’halftime appare surreale nel romanzo è perché anche “l’assurdo è il nuovo normale”, per quando non sia del tutto agevole trovare un senso alla definizione di “normale”. La costante generazione di mondi paralleli, la confusione esponenziale dei valori il cui senso è stato consumato dall’infinita ripetizione, la sovrapposizione della guerra e del football, delle decisioni prese a Washington e rappresentate a Hollywood, inglobano i giovani e disorientati soldati nella società dello spettacolo. Solo che dietro le uniformi tirate a lucido, dietro le medaglie e dietro le tonnellate di iprocrisia si nascondono spirali di tenebra e di paranoia, di paura e di noia, di disperazione e di pura e semplice follia. D’altra parte, l’America è “la chiesa di ciò che è”, ed è sempre halftime: lo show non si può fermare e ognuno deve coltivare la solitudine del proprio destino, anche in uno stadio sold out e in diretta televisiva nazionale. Scoppiettante, irriverente, il più delle volte trascinato dalla verve di Ben Fountain, che riesce nell’impresa di rendere la vacuità e l’amarezza che Billy e i suoi compagni di sventura attraversano, è un romanzo scomodo e necessario.

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