domenica 2 giugno 2013

Lester Bangs

I bersagli sono sempre gli stessi: i Rolling Stones, Miles Davis, Bob Dylan e Lou Reed, a cui Lester Bangs dedica “una giornata perfetta” con il titolo di Sordomuto in una cabina telefonica. Tra i Deliri, desideri e distorsioni viene annoverato anche un viaggio nella Giamaica di Bob Marley e un paio di trasferte  tra l’inferno e/o il paradiso a intervistare Jimi Hendrix e Jim Morrison, poco prima di raggiungerli davvero. Gli usi, i costumi e soprattutto i consumi di Lester Bangs (“Uso droga solo perché nel ventesimo secolo, nell’era tecnologica, se vivi in una metropoli ci sono alcune droghe che devi prendere anche soltanto per essere normale come un cavernicolo. Non soltanto per esaltarti o per deprimerti; ma ormai per ottenere l’equilibrio devi prendere certe droghe. Non servono nemmeno più a sballarti, servono a renderti normale”) non sono mai stati tanto politically correct e sono stati la sua irriverenza, il suo particolare flusso di coscienza, la forma scoppiettante e iconoclasta a definirne lo stile che lui stesso definiva così, introducendo uno di suoi (e nostri) amatissimi outsider, David Johansen: “C’è una differenza importantissima tra moda e stile: è come la differenza tra normale e sano. La norma è la malattia e i New York Dolls erano anormali ma incredibilmente sani; avevano stile, e lo stile è una cosa che si può possedere solo per natura: è l’incarnazione concreta dell’originalità, della personalità spiccata. Mentre la moda è solo un mucchio di stronzi che ti dicono come dovresti vestirti e comportarti in ogni situazione”. Questo era Lester Bangs, in salute, libero di contraddirsi e libero dalle ipocrisie, sfrontato e sincero, fino al midollo, persino con se stesso. Un caso a parte, ed è incidentale che la sua verve abbia incrociato il rock’n’roll. Avrebbe potuto scrivere qualsiasi cosa, come faceva il suo collega Hunter S. Thompson, e sarebbe comunque stato un corpo estraneo, una mina vagante, un ribelle senza causa caotico e beat, nel senso di battuto e nel senso di pulsante. Tranchant ed eccessivo anche nel riconoscere i propri limiti, come quando scrive: “Io probabilmente sono ingiusto nel volere che chiunque definisca tutto in modo così esplicito, nel pretendere che il resto della razza umana (e, ironia della sorte, anche artisti e musicisti) sia verbale o verbosa quanto me”. Va da sé che la lettura è sempre uno spasso e che molte delle sue recensioni, hanno scritto la storia sul versante più decadente e autoreferenziale del rock’n’roll, così come è rimasto una clamorosa incognita, come riconosceva in prima persona: “Il punto è che non ho la più pallida idea di che tipo di scrittore sono, se non che so che sono bravo e che molta legge la roba che scrivo, di qualunque genre sia, e mi va bene così”. L’autoritratto è perfetto se aggiunge quello che scriveva in coda all’immaginario dialogo con la voce, il corpo e lo spirito dei Doors, con cui ha trovato un feeling unico perché, parole sue, “non bisogna per forza separare il pagliaccio dal poeta”. Valeva per Jim Morrison, vale ancora per Lester Bangs.

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