giovedì 14 marzo 2013

Richard Ford

Canada significa la frontiera, il confine, una linea che, una volta superata, non concede un’altra chance. Il varco prevede una sola direzione perché in Canada “fare le cose per i giusti motivi” è la legge non scritta che regola il giorno e la notte. Dell Parsons, quindici anni, una vocazione per la logica e per gli schemi che si legge nelle sue passioni per gli scacchi e per le api, arriva in Canada dopo aver visto la sua famiglia disgregarsi: Bev, suo padre e Neeva, la madre sono finiti in carcere per una goffa rapina a mano armata e la gemella, Berner, è fuggita. “Le cose accadono quando le persone non stanno al loro posto, e il mondo va avanti e indietro in base a questo principio” scrive Richard Ford e a Great Falls, Montana, un luogo sperduto il cui nome permette con una certa facilità di sentirsi “in mezzo” al nulla, Dell Parsons si ritrova nella parte sbagliata della vita, come in “un miracolo alla rovescia”. Senza alcun motivo apparente, il suo piccolo e traballante ordine infantile è scomparso. Si accorge che quello dei genitori, e per estensione degli adulti, “sembrava lo stesso mondo perché lo condividevano, e perché c’eravamo anche noi. Ma non era lo stesso” e al momento del brusco risveglio è già nella prateria del Saskatchewan dove “per capire dov’eri dovevi guardare il cammino del sole; questo, e ciò che tu personalmente sapevi del luogo: una strada, una staccionata, la direzione regolare da cui veniva il vento. Si aveva l’impressione, quando le colline scomparvero dietro di noi, che non fosse più possibile trovare un punto centrale rispetto al quale altri punti potessero fare riferimento. Lì una persona poteva smarrirsi facilmente o anche impazzire, perché era sempre in mezzo, ovunque si trovasse”. Il paesaggio, che nei romanzi di Richard Ford è fondamentale, in Canada è quasi una pellicola su cui vengono impresse la solitudine e la forza di Dell Parsons e i contorni sfocati di persone che “fuggivano dal passato, che non si voltavano indietro se potevano farne a meno, e la cui vita era sempre in qualche modo qualcosa di imminente”. Quel senso di immobilità e quella luce gelida nei quadri di Edward Hopper: più limpido, senza per questo essere meno appassionato, (sempre) molto dettagliato e preciso, è come se Richard Ford avesse voluto ripulire una storia che si è sporcata per un caso fortuito, per un capriccio del destino. Ai personaggi di Canada, a partire proprio da Dell, concede un sacco di porte aperte (l’epilogo le riassume quasi tutte), preludio a qualcosa che somiglia alla maturità e alla compassione, ma non per questo la possibilità di tornare indietro e invertire la direzione perché i fatti “non sono quelli che inventi”. Dall’angoscia di una visita in carcere al timore in una baracca maleodorante e piena di spifferi, Canada ha un luogo per ogni stato d’animo e i passaggi, obbligatori e a senso unico, non sono solo tasselli importanti di un (bellissimo) romanzo, ma anche “qualcosa, insieme, di astratto e finito”. Qualcosa che somiglia alla vita. 

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