mercoledì 13 marzo 2013

Mark Twain

Quello che bisogna sapere è già nelle prime due righe dell’incipit: “Non si tratta di un fiume qualunque. Al contrario, tutto ciò che lo riguarda è straordinario”. Il Mississippi è l’America: è movimento, unisce e separa, alimenta e distrugge e il suo bacino, insieme a quello del Missouri, non solo è “la seconda valle del mondo, per grandezza”. Incarna “the face of the nation”, il volto di una nazione che è sempre indefinibile, a maggior ragione trattandosi di un’entità volubile come l’America. Mark Twain non poteva resistere alla tentazione di ricominciare qualcosa rimasto in sospeso, quando aveva percorso il Mississippi come aiuto pilota e decise di assecondare “il desiderio di rivedere il fiume, i piroscafi e quanti dei ragazzi fossero rimasti ancora; pertanto decisi di andarci. Arruolai un poeta che mi facesse compagnia e uno stenografo perché prendesse delle note e mi misi in viaggio verso ovest intorno alla metà di aprile”. L’esperienza giovanile e il viaggio di Vita sul Mississippi sono divise dalla guerra di secessione, tema ricorrente perché come gli fa notare uno gli interlocutori: “Si sarà ovviamente reso conto che parliamo quasi sempre della guerra. Non è perché non ci sia nient’altro di cui parlare ma perché non c’è nient’altro che ci interessi tanto. E c’è un’altra ragione: durante la guerra, ciascuno di noi pare aver testato personalmente tutte le diverse varietà dell’esperienza umana; di conseguenza, non si può menzionare una faccenda pur remota senza rammentare ad un ascoltatore qualche cosa che sia accaduta nel corso della guerra”. Ricollegarsi al Mississippi, ai sedimenti naturali, geologici e storici, all’orgoglio di vivere nel fiume più che sul fiume, è in qualche un modo per tornare all’inizio, alle forme primordiali di un’idea, di uno spirito, persino allo stupore per un territorio e un paesaggio che “è una meraviglia. Una meraviglia e uno spettacolo delicato e ricco. E quando il sole è alto in cielo e distribuisce una vampata rosa qui e una polvere d’oro là e una cortina di foschia color porpora dove ottiene l’effetto migliore, si può stare certi di aver assistito a qualcosa che resterà nella memoria”. La Vita sul Mississippi è quasi un’elegia, nella suo armonioso svolgersi di dettagli quotidiani, a una visione americana, distrutta per sempre dalla guerra civile, come se il fiume con il suo snodarsi attraverso la nazione fosse un riparo e insieme un punto fermo insieme alla certezza che il primo pioniere della civiltà, l’avanguardia della civiltà, non è il piroscafo, non è la ferrovia, non è il giornale, non è il missionario, bensì il whisky! Proprio così. Date un’occhiata alla storia e vedrete”. Siamo già nel finale e Mark Twain non resiste alla sua vena caustica, tanto che diventano chiarissime le parole con cui lo ritraeva Jorge Luis Borges: “Nel caso particolare di Mark Twain, un fatto è indiscutibile. Mark Twain è immaginabile soltanto in America. Non sappiamo, non lo potremo mai sapere, quello che l’America gli ha tolto”. Quello che gli ha dato, è tutto nella Vita sul Mississippi.

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