domenica 24 febbraio 2013

Jack Kerouac

Coetaneo di Sulla strada e pubblicato soltanto vent’anni dopo, Pic è un frutto acerbo e colorito. L’effetto è abbastanza straniante perché racconta il viaggio un bambino afroamericano che dalla Carolina del Nord arriva a New York mentre Jack Kerouac era già al capolinea. Il punto di vista è sempre soggettivo e l’emozione della scoperta, di un orizzonte che si apre all’improvviso, quell’anelito verso qualcosa di nuovo e di diverso, si svela quando Pic dice: “E ora eccomi in città di nuovo, ma stavolta ero cresciuto e stavo per andare per il mondo con mio fratello. Be’, ogni cosa stava diventando terribilmente interessante da osservare”. Rocambolesco, pittoresco, confusionario Pic ha la stessa natura di Sulla strada anche se gli manca la visione d’insieme, il trasporto, la forma e forse la fiducia. Il limiti imposti dalle dimensioni e dallo spazio autorizzano a pensare che Kerouac non avesse del tutto chiaro il destino di questo romanzo, anche se i temi (la strada, il jazz, il gusto per l’avventura e per gli outsider di ogni forma e natura) sono gli stessi e la scrittura ha già il vigore e la passione di sempre. Vale ancora, a proposito di Pic, quello che scriveva Seymour Krim: “Quasi dieci anni prima della volgare immediatezza della Pop Art ci mostrò lo stupefacente ambiente in cui viviamo realmente e fece erompere la nostra prosa in un flessibile gioco d’azzardo, di osservazione senza difetti, precisione di dettagli”. In questo il giovane Kerouac ha già la predisposizione di un osservatore acuto, per non dire profetico. Negli scorci finali di Pic, quando deve spiegare come funziona un tubo catodico (oggi, uno schermo digitale) lo presenta così: “La televisione è un grande lungo braccio di luce che raggiunge il vostro salotto, e anche nel mezzo della notte quando non ci sono programmi in onda la luce è accesa; anche lo schermo è scuro. Studiate questa luce. Vi ferirà inizialmente e bombarderà i vostri occhi con cento trilioni di particelle elettroniche, ma dopo un po’ non vi darà più fastidio”. Uno dei suoi lettori più appassionati, Tom Waits, deve essersi ispirato a questo passo quando, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, diceva di ricoprire la televisione di notte, come una gabbia per canarini. Come si legge ancora in Pic forse dipende dal fatto che “mentre l’elettricità era luce per mezzo della quale vedere, questa è luce che viene non per far vedere, ma per vedere, non per aiutarci a leggere, ma per leggere. Questa è luce che sentite. E’ la prima volta al mondo che della luce è stata raccolta dalle fonti di luce e proiettata attraverso un tubo in modo che possa essere osservata e studiata invece che farci solo sbattere le palpebre. E ha preso la forma di uomini e donne in carne e ossa nello studio che arrivano in strisce luminose nel vostro salotto con tutti i loro suoni registrati attraverso il sonoro. Che cosa significa tutto ciò, signore e signori?”, ed è una domanda che rimane sospesa in coda a Pic. La risposta di Kerouac è implicita visto che, rispetto alla televisione e a quello che c’è dentro, lui andava nella direzione opposta.

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