mercoledì 30 gennaio 2013

Don DeLillo

Se l’omicidio è l’espressione del potere, il terrorismo diventa la forma definitiva di arte e il complotto ordina tanto il matrimonio di seimilacinquecento coppie del reverendo Moon quanto il funerale funerale di massa di Khomeini: nei piani inclinati di Mao II, che portano da New York a Beirut, “il futuro appartiene alle masse” e il destino è deciso altrove. Nello spiraglio aperto sulla realtà del mondo moderno, Don DeLillo accetta, prima di tutto, una sorta di subalternità del narratore nel tracciare ipotetiche coordinate per comprendere le deviazioni e i fallimenti genere umano: “Anni fa credevo ancora che fosse possibile per un romanziere alterare la vita interiore della cultura. Adesso si sono impadroniti di quel territorio i fabbricanti di bombe e i terroristi. Ormai fanno delle vere e proprie incursioni nella coscienza umana. Era quanto solevano fare gli scrittori prima che fossimo tutti incorporati”. Ciò non toglie che possa essere ancora un validissimo e quanto mai ispirato testimone: Mao II ha visto il futuro con lucida visionarietà, una crepa nel tempo dalle linee nette, profili precisi e senza una sbavatura, tagliente come i bordi di un diamante (non a caso Thomas Pynchon ha detto che Mao II è un gioiello). Una percezione molto avanzata nel tempo e in tutti i sensi che, isolando un tratto in apparenza confuso e frenetico della storia occidentale, fugge dal tentativo di vedere una trama complessiva, anche nel romanzo stesso, e collima il mirino con un orizzonte molto lontano. Mao II è del 1991, nell’empty sky di New York del 2001 sarebbe stato poco meno di una parabola e all’alba del 2011 è ancora pericolosamente attuale, soprattutto dove Don De Lillo dice: “In società ridotte allo sperpero e alla sovrabbondanza, il terrore è l’unica azione significativa. C’è troppo di tutto, ci sono più cose e messaggi e significati di quanti ne possiamo usare in diecimila vite. Inerzia e isteria. E’ possibile la storia? C’è qualche persona seria? Chi dobbiamo prendere sul serio? Solo il credente letale, la persona che uccide e muore per la fede. Tutto il resto viene assorbito. L’artista viene assorbito. Il pazzo per strada viene assorbito, trasformato e incorporato. Gli dai un dollaro, lo metti in uno spot televisivo. Solo il terrorista resta fuori. La cultura non ha ancora trovato il modo di assimilarlo. E’ sconcertante quando uccido l’innocente. Ma questo è precisamente il linguaggio per essere notati, l’unico linguaggio che l’occidente comprenda. E poi il modo che hanno di determinare l’idea che ci facciamo sul loro conto. Il modo che hanno di dominare il flusso interminabile delle immagini”. Il ritmo che Don DeLillo impone alle parole è l’unico in grado di competere con quello che raccontano, ovvero l’impero dominante delle ultime notizie, il costante trasecolare di fronte alle novità che appaiono, che deflagrano, che turbano e che s’impongono ed è vero che “i libri non finiscono mai”, ma bisogna anche dire che Mao II è qualcosa in più di un romanzo, bellissimo e complesso. E’ un incubo a occhi aperti. La realtà. Una premonizione. 

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