giovedì 8 novembre 2012

John Steinbeck

Capita che un torpedone scalcinato s’inchiodi nel bel mezzo del paesaggio californiano con a bordo tutti i suoi passeggeri. La compagnia forma un quadro picaresco e colorito, molto rappresentativo di un’umanità variegata. C’è di tutto, sulla corriera stravagante di John Steinbeck e il casuale incidente, tutto sommato una solida metafora dell’imprevedibilità e della casualità vita, sembra scardinare le esistenze, le convenienze e le convenzioni bloccate on the road, con una sorta di sottile euforia generale, che spesso si traduce in una marcata sensualità. Non c’è dubbio che il John Steinbeck da riscoprire in La corriera stravagante non è certo quello biblico di Furore o Uomini e topi, il cantore della famiglia di Tom Joad, dei derelitti e dei disperati, dei perdenti e dei fuggitivi, degli outsider di un’America lontana e polverosa. Da un certo punto di vista La corriera stravagante è più vicino all’epica di Pian della Tortilla o, almeno, alle stesse visioni. Perché, in fondo, l’incidente, in senso lato, che ferma La corriera stravagante è anche l’occasione perché i viaggiatori scoprano e diano un nuovo senso alla propria vita, vedendo “davanti alla corriera, la strada cantava la sua canzone”, un inedito orizzonte di libertà. A partire dal buon autista, che nelle prime pagine del romanzo si confessa così: “Certe volte sono proprio stufo di guidare quell’accidente di corriera avanti e indietro, avanti e indietro. Certe volte mi viene la voglia di piantare tutto e prendere la strada delle colline. Ho letto di un tale, un capitano di vaporetto a New York, che un bel giorno, senza tante storie, se ne andò per mare e nessuno ne ha saputo più nulla. O è affogato, o ha trovato da sistemarsi in qualche isola. Io lo capisco, un tipo così”. Prendere e partire è un tema che, come è noto, sarà ripreso in continuazione e all’infinito nella narrativa e anche nel rock’n’roll, a partire da Chuck Berry fino ad oggi, con o senza le valenze sociali che John Steinbeck gli ha sempre attribuito. Eppure c’è qualcosa, nel paesaggio attraversato dalla corriera stravagante, che comincia a sgretolarsi sulla superficie della strada, e non solo in senso metaforico: “Una scarpata franava, una buca si apriva, una fessura si formava, che un po’ di ghiaccio nell’inverno allargava: ed ecco che il cemento, incapace di resistere all’azione delle gome, cedeva”. Anche La corriera stravagante, nel suo eccentrico viaggio, non perde di vista la concreta, solida visione di John Steinbeck: anche nel baillame dell’allegra comitiva persa nel deserto affiora quella capacità di evidenziare da distanza ravvicinata le piccole e grandi variazioni cromatiche dell’animo umano. Per questo per La corriera stravagante con ogni probabilità valgono ancora le parole con cui nel 1954 John Steinbeck dedicava La valle dell’Eden ad un amico italiano: “Ci sono dolore ed eccitazione, sentimenti buoni o cattivi e pensieri cattivi e pensieri buoni, il piacere di disegnare e un po’ di disperazione e l’indescrivibile gioia della creazione”. 

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