giovedì 22 novembre 2012

Cormac McCarthy

“Rottami. Qualche osso. Le parole dei morti. Com’è possibile costruire un mondo da tutto questo?” è la domanda che arriva quando il viaggio Oltre il confine sta ormai sfumando. Billy e Boyd Parham lo stanno attraversando per riportare una lupa tra le rocce messicane. Il padre dei due fratelli la vorrebbe vedere morta, come il bestiame che ha cacciato:  cambiando il destino dell’animale, Billy e Boyd oltre a sfidare l’aspro paesaggio della frontiera, s’inerpicano lungo crinali inesplorati della vita cita perché, come scrive Cormac McCarthy “Le conseguenze di un atto sono spesso molto diverse da quanto si potrebbe immaginare. Devi essere certo che le intenzioni che hai nel cuore siano abbastanza ampie da far posto anche agli sviluppi negativi, alle delusioni. Capisci? Non tutto vale così tanto”. Il centro della Border Trilogy è il romanzo più lirico, per non dire poetico, di Cormac McCarthy. La connessione tra l’elemento naturale, le meravigliose descrizioni delle rocce, del vento, del deserto e degli animali, e poi la minuziosa attenzione alle intangibili forme del mondo umano, quel mondo “fatto solo di respiro” rendono il percorso dei fratelli Parham qualcosa in più di un’iniziazione, di una scoperta, di un’avventura verso l’incognito. Tra gli aridi sentieri di Oltre il confine spunta una rara, intensa sensibilità nel comprendere che “non vi sono viaggi isolati perché non vi sono viandanti isolati. Tutti gli uomini sono uno e non vi è un’altra storia da raccontare”. Questa è la vera linea attraversata, la meta che lo stesso Cormac McCarthy intravede Oltre il confine: “Se la gente conoscesse la storia della propria vita, quanti sceglierebbero di viverla? La gente si preoccupa del futuro. Ma non c’è futuro. Ogni giorno è fatto dei giorni che l’hanno preceduto. Anche il mondo deve essere sorpreso per come ogni giorno si mettono le cose”. E’ la forza del racconto che definisce il tempo, l’esistenza stessa che è “tutto è racconto” ed è la risposta con cui Cormac McCarthy definisce l’esigenza, primaria e irrinunciabile della narrazione: “Perché questo mondo che ci pare una cosa fatta di pietra, vegetazione e sangue non è affatto una cosa ma è semplicemente una storia. E tutto ciò che esso contiene è una storia e ciascuna storia è la somma di tutte le storie minori, eppure queste sono la medesima storia e contengono in esse tutto il resto. Quindi tutto è necessario. Ogni minimo particolare. E’ questa in fondo la lezione. Non si può fare a meno di nulla. Nulla può venire disprezzato. Perché, vedi, non sappiamo dove stanno i fili. I collegamenti. Il modo in cui è fatto il mondo. Non abbiamo modo di sapere quali sono le cose di cui si può fare a meno. Ciò che può venire omesso. Non abbiamo modo di sapere che cosa può stare in piedi e che può cadere. E qui fili che ci sono ignoti fanno naturalmente parte anch’essi della storia e la storia non ha dimora né luogo d’essere se non nel racconto, è lì che vive e dimora e quindi possiamo mai aver finito di raccontare. Non c’è mai fine al raccontare”. Straordinario.

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