sabato 14 luglio 2012

Mark Twain

L’ipocrisia di una smalltown, Hadleyburg, sconvolta dal passaggio e poi dal ritorno di uno straniero diventa l’occasione per Mark Twain di ritagliare e concentrare la sua (fondata) opinione sulla condizione del genere umano. E’ quella che definiva “influenza esterna” in Che cos’è l’uomo? a generare lo scompiglio o meglio il virus di un dubbio che scava nei recessi delle certezze artificiali di Hadleyburg, “la città più onesta e integra di tutta la regione”. Una specie di reazione chimica rapida e violenta: il seme piantato dallo straniero trova l’humus perché la coerenza, l’onestà e l’integrità sono costruite, non sono spontanee e non hanno elementi di autodifesa, se non la propria convinzione. La comunità di Hadleyburg è sempre stata “sufficiente a se stessa” e l’educazione dei suoi cittadini “è stato un continuo addestrarci e addestrarci e addestrarci all’onestà. Un’onestà protetta, fin dalla culla, contro ogni tentazione possibile. E quindi non è altro che un’onestà artificiale, e debole come l’acqua, quando incappa nella tentazione, come abbiamo visto questa notte”. Quando o straniero, offeso dalla (pessima) ospitalità di Hadleyburg, inventa una lotteria a senso unico, una falsa promessa che contiene gli elementi maligni della vendetta, la reazione è immediata e sconcertante tanto che gli stessi cittadini si chiedono “in che modo strano siamo fatti!”, con tanto di punto esclamativo che non lascia via di scampo. E’ vero, come scrive Mark Twain, che “non c’è niente al mondo come un discorso convincente per mandare in confusione l’apparato mentale e sconvolgere le convinzioni e corrompere le emozioni di un pubblico non pratico a certi trucchi e illusioni dell’oratoria”, e che il trucco architettato dallo straniero è un pericoloso gioco di prestigio che tocca le sensibili corde dell’avidità e della ricchezza, ma la forza e le imposizioni di un’educazione e di un ambiente, la famosa “influenza esterna”, si rivelano fragili ed evanescenti e sono gli stessi abitanti di Hadleyburg ad accorgersene “perché, gente ingenua, voi non sapete che la più debole di tutte è quella virtù che non sia ancora stata messa alla prova”. Il virus si moltiplica come il ritornello di Mikado e diventa via via più pericoloso. Le contorsioni della piccola città, che con la progressione degli eventi è sempre più estranea alla sua identità (“Sembra di stare dentro un libro! Perché è proprio come un romanzo! Come quelle vicende impossibili che si leggono nei libri e non vedi mai succedere nella vita reale”) non impediscono al desiderio e all’ambizione di avere la meglio sull’onestà e sull’integrità e l’impianto su cui si regge Hadleyburg si accascia su se stesso. Finché non diventa evidente che “la responsabilità è individuale, non collettiva” ed è ciò che anima tutto il racconto di Mark Twain, un elemento che ha anche appigli autobiografici (per il difficile momento che stava attraversando lo scrittore americano), un tema umano, troppo umano inciso a chiare lettere in quello che ha tutti i connotati di un classico, nella forma e nella sostanza.

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