sabato 31 marzo 2012

Richard Yates


Si allungano le ombre e i riflessi della seconda guerra mondiale sui racconti di Proprietà privata. Un frammento luminoso, le cinque pagine di Campane al mattino, fa esplicito riferimento agli eventi bellici, essendo ambientato in una trincea americana in Germania. Siamo nell’aprile del 1945, l’idea che la guerra possa finire è nell’aria e intorno a questa vaga sensazione il racconto di Richard Yates si snoda in modo brillante, tenendo in sospeso i motivi della trama fino al finale, amaro e surreale nello stesso tempo. La percezione delle forme che assumono le storie è resa esplicita da Richard Yates attraverso il pensiero di uno dei protagonisti di Campane al mattino che le vede così: “All’inizio erano sagome grottesche, nient’altro. Poi diventarono gocce d’acido, che solcavano la schiuma del suo sonno compatto e senza sogni. Alla fine capì che erano parole ma non significavano nulla”. Anche Il canale ritorna ai campi di battaglia attraverso i ricordi dei commilitoni, ma è già l’espressione dei limiti congeniti della piccola borghesia americana sorta in seguito alla seconda guerra mondiale. Un cocktail che annaspa, una serata dove la noia è il minimo denominatore comune, un’acidità strisciante e tagliente sono gli elementi che poi forniranno la sostanza alla base della micidiale miscela del capolavoro di Revolutionary Road. Sono esistenze sull’orlo di una crisi di nervi (spesso anche oltre), vite che si complicano per un sussulto, dialoghi che si propagano in un’atmosfera plumbea. La discussione tra i due veterani di Ladri oltre a esprimere un’idea molto interessante sul concetto di talento (“Le persone che hanno talento fanno in modo che le cose succedano, possiamo dire così. Le persone che non hanno talento lasciano che le cose gli succedano. E’ il talento, capite? Va oltre tutte le barriere delle nostre convenzioni, tutta la vostra stramaledetta morale borghese. Un uomo di talento può realizzare qualunque cosa, cavarsela in ogni situazione”) è esplicita nel mostrare l’abilità di Richard Yates nel costruire una short story tutta e soltanto intorno a un dialogo. Un gruppo di veterani è ancora protagonista in Un idillio ospedaliero: sono spettri di guerra che conducono una battaglia quotidiana con le infermiere, si trascinano notte dopo notte inventandosi storie d’amore e la cui maggiore soddisfazione è chiudersi in un ripostiglio a scolarsi una cassa di birra. Nel ritrarli Richard Yates non gli concede nulla, nemmeno l’orgoglio di una guerra vinta, e mette in scena i loro disturbi e loro reazioni infantili quasi con sprezzante cinismo. E’ la sua cifra, in fondo, e diventa ancora più evidente in Un ego convalescente, un tesissimo quadro domestico alimentato dalle cupe conseguenze di un esaurimento nervoso. Il racconto si risolve con una nota di speranza che Richard Yates è capace di rendere ambigua e spiazzante. Il suo svolazzo finale la dice lunga sulla sua considerazione del genere umano ed è un bel biglietto da visita della sua scrittura, per niente consolatoria e sempre pungente. 

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