mercoledì 29 febbraio 2012

Edward Abbey

A Edward Abbey, Tom Russell ha dedicato una bellissima ballata in Indians Cowboys Horses Dogs, che potrebbe essere benissimo anche il sottotitolo di Fuoco sulle montagne. Gli argomenti sono gli stessi perché l’Edward Abbey di cui stiamo parlando è il narratore dei Sabotatori, uno scrittore che riconosce al territorio, alla wilderness americana, al deserto, alle pietre e al vento un ruolo superiore nella vita delle persone e degli animali. Come è giusto che sia, perché soltanto in tempi abulici e banalotti come i nostri si confondono le rive di un fiume con le lottizzazioni, si radono le montagne e poi si parla di fatalità davanti alle frane, ci si spaventa per un po’ di sabbia portata dal vento e non ci si accorge del veleno quotidiano che respiriamo. Fuoco sulle montagne va ancora più indietro nel tempo, nel New Mexico del 1960: nel pieno della guerra fredda, non per niente da lì a due anni scoppierà la crisi dei missili di Cuba, il governo degli Stati Uniti d’America requisisce terreni per ampliare le sue basi missilistiche. John Vogelin, proprietario di un ranch in una terra aspra, durissima e affascinante invece di partecipare al virtuale confronto nel mondo diviso in due, intraprende una sua personale battaglia. A difesa del ranch, ma anche del territorio, della sua bellezza e dei suoi modi, antichi e rudi, di vivere. Per dire, da quelle parti non esistono ipotesi di diete: “Un cowboy lo riconosci sempre da come mangia. Se non mangia come un lupo deve avere qualcosa che non va”. Lo aiuta soltanto il nipote Billy, da tempo trasferitosi in città, ma legatissimo al nonno e al suo ranch. Il confronto genera un romanzo che si legge d’un fiato, seguendo il percorso di almeno un paio di temi che si sovrappongono. C’è il nucleo centrale, quello particolarmente caro ad Edward Abbey, di un’ecologia attiva nella tutela del territorio e dei sentimenti, anche a costo di scontrarsi con le ipocrisie delle ideologie patriottiche (come già era successo in I sabotatori) e con l’inevitabilità delle incombenze storiche e c’è la crescita e la ribellione di Billy che vede negli ideali del nonno una sorta di ultima spiaggia per fuggire alla banalità e allo sfiancante tran tran della vita metropolitana. Con scenari degni di Cormac McCarthy e una dolcezza che, direbbe Jim Harrison, è soltanto una sincerità dell’anima, Fuoco sulla montagna è un bel romanzo sul crepuscolo del West e delle sue libertà, che il lettore apprezzerà tanto per le suggestioni, quanto per la scorrevolezza. Si legge in una sera (o poco più), e fa pensare per una settimana perché quello di cui parla Edward Abbey (come ha ben capito Tom Russell) non è soltanto il New Mexico e un vecchio cowboy che non vuole mollare la sua terra. Parte da un lungo momento di puro terrore che ormai si è impolverato negli archivi della storia per raccontare quello che ci appartiene, quello che è nostro, e che tale rimanere. Non è il ranch di John Vogelin, non è il deserto (salvo che non lo si voglia ridurre tutto così). E’ il mondo in cui viviamo. 

2 commenti:

  1. Ho letto con piacere e interesse questo post su di un autore ai più sconosciuto e da me molto apprezzato. Il libro in questione l'ho letto anni fa e quindi non ricordo che l'impressione che mi lasciò e che corrisponde alla tua. Purtroppo oltre a questo a "I sabotatori" e a "Deserto solitario"(che non è un romanzo), non mi risulta sia stato tradotto altro in Italia di Abbey,o tu hai notizie diverse?
    Complimenti per questo tuo post,
    ciao
    maria

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    Risposte
    1. A quale diavolo appellarsi perchè vengano tradotte altre opere di abbey in italiano?????..magari qualcosa dei suoi diari e corrispondenze


      facciamo una colletta,troviamo un modo plausibile, chi può interceda!
      gert

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