lunedì 28 novembre 2011

Steve Erickson

Il viaggio nel tempo di Arc d’X comincia agli albori del mondo moderno, con l’esportazione della rivoluzione americana, e attraversa due secoli di storia. La forma geometrica dettata dal titolo è la stessa del romanzo: i punti che collegano Arc d’X sono incisi tra il 1789 e il 1989 e sono uniti da un segmento europeo, un asse geografico e politico, che va Parigi da a Berlino e viceversa. E’ una visione della storia attraverso la lente della narrativa, dell’invenzione che permette di scavare nella memoria e di identificare quei frammenti, quelle scansioni, quegli elementi che si perdono negli anni e nell’oblìo perché come ha detto Steve Erickson “è solo alla luce della memoria che i fatti storici acquistano significato; all’ombra dell’amnesia restano insignificanti”. Arc d’X non è però un romanzo storico, anzi è proprio l’opposto perché la realtà storica è filtrata attraverso quella del romanzo: Thomas Jefferson e Sally Hemings, il padre fondatore dell’America e la schiava che diventerà sua moglie viaggiano attraverso un arco di tempo di duecento anni. Prima, a Parigi, Thomas Jefferson ha modo di celebrare la sua creatura: “Ho inventato qualcosa. E’ stata la migliore, la più selvaggia e la più elusiva delle mie invenzioni, l’embrione di un’idea che avevo in mente. E’ un aggeggio che è mezzo impazzito per via dell’amore per la giustizia, una macchina oliata dalla fiera e tenace ostilità di colore che pensano di poter cavalcare una razza umana come se fosse uno stupido animale. L’ho lasciata libera di turbinare per il mondo. Sfreccia per i villaggi, i paesi, i piccoli centri e le grandi città. Tutti quelli che ne sentano anche solo parlare, si dovranno confrontare in ogni momento di ogni giorno con questa invenzione; e metterà maggiormente alla prova proprio quelli che sono troppo disinvoltamente arroganti per crederci. Ma io so che è imperfetta, come so che il difetto di questa mia invenzione sono io. Proprio come l’inchiostro bianco dei miei lombi ha acceso l’ispirazione che ha porta alla luce questa cosa, così l’ordine della sua estinzione è stato scarabocchiato con quello stesso inchiostro. La firma è mia. Ho scritto il nome di questa invenzione. L’ho chiamata America”. Poi è a Berlino, ormai sul lato discendente di Arc d’X, che si compie il destino. Emancipata anche dalla matematica, Sally Hemings diventa un simbolo dell’amore e della libertà in una metropoli che somiglia non poco alla Los Angeles di Blade Runner, forse un implicito omaggio di Steve Erickson a Philip K. Dick. Se c’è un modello di riferimento in questo straordinario romanzo è però nella percezione caotica di Henry Miller delle storie, quando diceva: “Tutto ciò che facciamo, tutto ciò che pensiamo esiste già, e noi siamo solo intermediari, ecco tutto, che pescano quel che c’è già nell’aria”. Ha qualcosa di profetico, questa definizione, che Steve Erickson ha messo in pratica in Arc d’X, un capolavoro di coraggio che, come ha detto Thomas Pynchon, non teme di raccontare “il lato notturno della realtà”.

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